E’ a una svolta l’inchiesta sulla faida del Gargano che il 9 agosto 2017 costò la vita a due innocenti agricoltori, i fratelli Luigi e Aurelio Luciani, testimoni involontari di un agguato di mafia in cui vennero uccisi due pregiudicati. Ieri è finito in carcere uno dei presunti responsabili della strage nella quale i sicari, dopo avere ucciso il boss Mario Luciano Romito, e suo cognato Matteo De Palma, inseguirono e trucidarono i fratelli di San Marco in Lamis, che erano lì per caso. “Qualche piccola crepa si sta insinuando nel muro rocciosissimo di omertà che caratterizza questo territorio, una cultura diffusa di non collaborazione con le istituzioni”, commenta ad Avvenire Francesco Giannella, procuratore aggiunto e coordinatore della Dda di Bari. “Il fatto che ci sia stato qualcuno che ci ha dato delle informazioni, uno che ha cominciato a collaborare con la giustizia sono segnali di novità rispetto a un passato estremamente negativo”.
Il magistrato avverte però che “la collaborazione della gente è ancora poca. C’è una cultura della resistenza e in alcuni casi di ostilità verso le istituzioni. Ci sono ampi settori della popolazione che non ha voglia di schierarsi dalla parte della giustizia per motivi storici, culturali, che non spetta a me analizzare, però è così”.
Nell’indagine “oltre alle collaborazioni che hanno cominciato a scalfire l’omertà, è stata importantissima la cooperazione internazionale. Altrettanto il lavoro scientifico, l’avanzatissima tecnologia degli strumenti investigativi. È stato lo specifico lavoro del reparto crimini violenti del Ros dei carabinieri che si occupa solo dei casi più eclatanti e terribili. Ma è stato importante anche l’intuito degli investigatori che sanno muoversi sul territorio”. Inoltre, “l’impegno che è stato messo in campo soprattutto quando intervenne il ministro Minniti, è stato eccezionale. Nel giro di poco tempo il territorio è stato inondato di forze dell’ordine non solo con la misura di facciata delle camionette o dell’esercito per strada, ma con uomini capaci, professionalmente all’avanguardia, che è quello che serve. Abbiamo avuto una risposta perfetta dello Stato centrale”.
Quel che ancora manca è “la collaborazione della gente, che è ancora poca. Difficilmente abbiamo testimoni oculari, o chi denuncia. Qualcosa è cambiato negli ultimi tempi ma non abbastanza. Qualche imprenditore comincia a denunciare ma è importante che si creino delle reti che facciano sentire non isolate le persone che hanno voglia di collaborare. Un sistema mafioso, ma anche della corruzione, non si combatte in maniera isolata. Bisogna combatterlo proponendo un altro sistema, quello della legalità che veda assieme istituzioni, magistratura, forze dell’ordine, associazioni che siano accanto a queste persone che hanno deciso di schierarsi”.