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Vittime di mafia: lo struggente discorso della signora Arcangela, moglie di Luigi Luciani

L’intervento in occasione della visita a Foggia di don Aniello Manganiello. E dall’avvocato Michele Vaira arriva proposta a Landella. “Dedica una piazza o una strada a Mario Nero, testimone di giustizia”

(di Antonella Soccioimmediato.net) “Raggiunsi Scampia, il mio Bronx, con il pulmino stracarico di biancheria, libri e tutti gli altri effetti personali. La sosta non sarebbe stata breve, lo sapevo”. Così racconta don Aniello Manganiello, il prete antimafia, nel suo libro “Gesù è più forte della camorra. Dalla Campania alle Scampia d’Italia”. Don Aniello è ritornato a Foggia a Palazzo Dogana, invitato dalla sezione locale della sua associazione Ultimi, coordinata in Capitanata dal poliziotto foggiano Pierpaolo Mascione, che ieri a Palazzo Dogana davanti alle istituzioni, agli amici, ai presenti e ai relatori, l’avvocato Michele Vaira e il pm Enrico Infante, ha raccontato per la prima volta la storia che lo lega al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Suo padre, Tonino Mascione, nel 1975 era un agente sotto copertura con Dalla Chiesa, negli anni del terrorismo e delle prime ndrine attive a Milano.

“Ho conosciuto la mia Scampia, tutto iniziò in tenera età. Sono cresciuto nell’ambiente ovattato di Via Guglielmi al comando dei Carabinieri a Foggia. Nel 1988 mia sorella fu portata via un giorno, mi dissero che non era figlia di mia madre, mi tenni il segreto fino a quando mio padre non mi raccontò. La sua figlioletta aveva visto uccidere sua madre. Questo era il mio segreto. Sono cresciuto senza mezze misure, il grigio non mi piace. Don Aniello mi disse un giorno: tu non avevi scelta potevi essere o prete o poliziotto. Dopo il volto di mia madre, ho visto quello dell’Arma. La mia Scampia l’ho scelta, negli anni in cui a Scampia c’erano 103 morti per strada. Ho visto ragazzine prostituirsi per drogarsi, morti di overdose. In quel ventre molle ho conosciuto don Aniello, che soccorreva i disperati. Mi portò sulla via del Signore, non c’è da fidarsi a Scampia, le divise possono essere una copertura per trasportare stupefacenti”, ha raccontato Mascione.

L’evento dell’associazione Ultimi è stato anche l’occasione per la politica locale per ricordare la recente classifica del Sole24Ore. Se per il leghista Joseph Splendido il Decreto Sicurezza riuscirà a ricalibrare alcuni dati della provincia di Foggia, per il sindaco Franco Landella, la città è fatta di tante associazioni sane, che lavorano al di là del basso Pil pro capite. “Dobbiamo garantire la dignità del lavoro, creare investimenti senza false aspettative. Il male ha comunque un suo fascino, i giovani ne sono attratti, dobbiamo spingere affinché siano affascinati dal bene, per abbattere il muro di indifferenza”. Al sindaco si è rivolto Michele Vaira, che da posizioni politiche distanti ha elogiato la sua amministrazione. “Sindaco, chiudi la tua sindacatura in bellezza, dedica una piazza o una strada a Mario Nero, testimone di giustizia”, è stato il suo appello.

La serata è proseguita con l’impegno di Pierluigi Zarra, che curerà i rapporti dell’associazione Ultimi con i giovani e con gli interventi di Infante e dello stesso Vaira.

Il magistrato vede degli aspetti positivi nel Decreto Salvini e nel recente Decreto Spazza Corrotti, che introduce la figura dell’agente infiltrato provocatore. “Si è esteso il braccialetto elettronico dal reato per violenza anche allo stalking, si prevede che la Polizia Municipale nelle città superiori ai 100mila abitanti possa accedere alla banca dati delle forze dell’ordine. È un piccolo passo avanti. Non mi sento di poter dire peste e corna del Decreto Sicurezza,posto che non so niente di immigrazione e mi rimetto agli esperti”.

Ma è stato con i premi assegnati al magistrato Massimo Lucianetti e soprattutto alle due vedove Luciani che la platea si è commossa. “La morte di mio marito Luigi e di mio cognato Aurelio è stata disumana, chiediamo verità e giustizia per mio marito e mio cognato e per tutte le vittime di mafia, volevano semplicemente vivere onestamente e dignitosamente con quella stessa onestà e dignità che li ha contraddistinti. Mi state donando la speranza di un futuro migliore, le forze dell’ordine sono diventate la nostra famiglia”.

Una commozione che, come ha detto don Aniello, è stata un “tizzone di fuoco”.

“Mi sento fortemente meridionalista, noi nel Meridione non siamo liberi, siamo condizionati in tutto, nella vita politica, commerciale, sociale, economica. Nessuno può dire di essere libero dalla mafia. Si è fatta solo repressione in questi anni, dopo l’arresto di Michele Zagaria, con la casa sequestrata che ci è stata affidata e dove abbiamo una sede di Ultimi, la gente ci guarda male, ci boicotta su tutto. La povertà e la disoccupazione per tanti sono ancora una giustificazione, la pena certa è necessaria e i detenuti devono anche pulire i cessi, gli spogliatoi, devono restituire ciò che hanno rubato alla società. È vero che è difficile dire di no a certe proposte, ma è anche possibile dire di No. Solo se c’è un retroterra familiare, culturale ed ecclesiale si può dire no alla camorra e alla mafia. Io mi sono preoccupato di accompagnare i ragazzi al cambiamento, alla bonifica. Se i ragazzi sono impegnati non hanno grilli per la testa. Anche la Chiesa ha le sue colpe, la Chiesa meridionale si è occupata solo delle processioni e dei riti, al Nord hanno costruito gli oratori, che sono fucine di attività”.

Don Aniello conta una società sportiva con 300 iscritti e 13 squadre. Una catechesi continua per i giovani che vogliono cambiare. Il prete ha lanciato l’idea di una alleanza educativa tra associazioni, istituzioni e scuole. Ma senza che si aspettino i finanziamenti. “Se aspettiamo i fondi non ci mettiamo neanche insieme, dobbiamo fare qualcosa di concreto, per far risalire Foggia dal penultimo posto ai posti che merita come città”.

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