C’erano una volta “li paddott”
Si aspettava sempre la sera, quando si guardava verso Est, per capire se durante la notte potessero esserci precipitazioni nevose. La neve arrivava sempre di notte!! Come se avesse fatto un patto con la Luna: insieme per completare il quadro invernale di perfetta solitudine. Una solitudine fatta da due elementi, Luna e neve, per comprovare che la luce non doveva più esistere per alcune ore. Lo spazio vitale tra notte e dì, doveva compiersi!!
Di giorno, se nevicava, erano solo pochi fiocchi che si vergognavano di cadere, e lo facevano ondeggiando, esitando quasi confondendosi con qualche pallido raggio di sole. Ma la notte no!! Di notte i fiocchi di neve erano i padroni delle ombre, e del fiacco chiarore della Luna. E quando decidevano di cadere, non c’era verso di farli ritornare verso l’alto, nonostante la loro leggerezza… la neve doveva cadere, e lo faceva come antiche divinità dell’inverno avevano deciso.
Il sole può essere oscurato momentaneamente da qualche nuvola passeggera, ma la neve comandava lei come e quando vivere tra gli uomini. Il giorno dopo, il manto bianco non ancora toccato da nessun piede, si presentava agli occhi di gente che vedeva dalle finestre cosa fosse successo la notte scorsa. Già il freddo del mattino faceva presagire qualcosa di nuovo: tanta neve fino ad arrivare a raggiungere il metro d’altezza. E quando questo avveniva, l’epifania della natura si era completata. Tutto il ciclo delle stagioni aveva toccato il capolinea ed era pronto per ricominciare come sempre.
Si usciva di casa in punta di piedi, non solo per non cadere, ma anche per non offendere quel bianco perfetto, che nessun pittore riusciva ad imitare. Si facevano i primi passi sulla neve novella, senza parlare, per non disturbare il suo risveglio. E poi si cercava di rimanere in equilibrio, anche se prima o poi la caduta sarebbe arrivata!! Si cercava con lo sguardo i viventi nei dintorni, qualche testa si affacciava da una porta e dalle finestre, ma nessuno aveva il coraggio di dire la prima frase. La prima frase era: “Ima fa li paddott?”
E le palle di neve nascevano naturalmente, non solo nella mente dei ragazzini, ma anche come concetto astratto che poi si materializzava tra le mani. Come se il concetto di “battaglia d’inverno”, riuscisse a creare dal nulla, frotte di ragazzini già armati per battersi su chi fosse più bravo a fare palle di neve, e poi a chi aveva la mira migliore.
I guanti. C’era bisogno di guanti anche “renacciat”, quelli di lana verde. Mi è rimasto nella mente questo colore: verde. Forse perchè i miei guanti per l’inverno erano verdi e sicuramente di lana!! Quella “compatta”, che non lasciava nemmeno un millimetro di spazio tra un filo e l’altro, per poter far passare un po’ d’aria. Le mani erano surriscaldate e sudavano, fino a quando si decideva di togliere i guanti e farle respirare. Erano rosse dal troppo calore ricevuto in quei guanti, ma dopo pochi secondi a contatto con l’aria fredda, le mani diventavano bianche!
Si rimettevano i guanti per iniziare a fare le prime palle di neve. Le primissime riuscivano sempre piccole e irregolari: quasi dei sassi nati da terra non fertile. Poi man mano che si facevano le palle di neve con più esperienza, queste diventavano sempre più grandi e regolari. E prima di buttarle contro il “nemico”, si formavano naturalmente delle squadre di ragazzini che casualmente si trovavano su un fronte o sull’altro.
Non si decideva contro chi combattere e con chi, come viene fatto quando bisogna formare una squadra di calcio, ma le squadre di “cacciatori di paddott”, nascevano naturalmente: dipendeva in quel momento chi si trovava di fronte a noi. I primi scontri avvenivano anche a pochi centimetri di distanza, poi man mano che la battaglia prendeva vita, i contendenti si allontanavano e le distanze aumentavano, così come la grandezza delle “paddott”.
Fino ad arrivare a schierarsi anche sui due viali del nostro paese, dove c’erano dei ragazzi che riuscivano a far arrivare le palle di neve, lanciate dal “salottino”, fino al muro di recinzione dell’Opera Pia!! E riuscivano anche a colpire delle ragazze che scappavano… ma che le piaceva essere colpite. Alcune ragazzine per attirare l’attenzione dei ragazzi, “volevano essere colpite”, gridando senza motivo!! e correndo sempre senza un motivo, vicino ai ragazzi “armati”. Come dire: “Ma questi uagliol vonn jess cot mbronta??” e a volte così avveniva.
La mira spesso era quasi perfetta, eppure “li paddott” non stavano 12 mesi l’anno, anzi solo per pochi giorni durante l’anno. Eppure c’erano dei ragazzi talmente bravi che non perdevano la mira da un anno all’altro. I ragazzini appena usciti di scuola (all’epoca si andava a scuola anche se ci fossero state delle nevicate abbondanti!!), non avevano molta dimestichezza con le palle di neve in pochi secondi, e la neve se la buttavano addosso senza una strategia, giusto per il gusto di “sporcare” di bianco l’amichetto. Spesso cadendo nella neve. E subito dopo, addosso al ragazzino sprofondato nella neve, si formava “nu mentron” di ragazzini.
Giocando con la neve, si scopriva anche che la si poteva bere, ed era buona, era limpida e pulita. E soprattutto fresca. Si capiva che la natura aveva provveduto al nostro fabbisogno alimentare anche d’inverno, dandoci dell’acqua che d’estate ce la sognavamo. Alla fine delle battaglie con le palle di neve, non c’erano dei vincitori, forse il gioco con le palle di neve era l’unico dove non c’erano né vincitori e né vinti. Non c’era un punteggio ben preciso da raggiungere. C’era soltanto un modo diverso di salutare l’inverno, che ci aveva regalato anche quel modo di fare per divertirsi.
In quelle palle di neve potevamo scorgere, se le avvicinavamo agli occhi, tanti frattali che riproducevano all’infinito l’intera palla di neve. Ed ogni frattale conteneva dei fiumi, dentro i quali c’erano delle gocce d’acqua che scavavano in fondo. E in fondo a quei fiumi c’erano tanti paesi completamente coperti dalla neve. E lì, vicino alle case di quei paesi, correvano alcuni ragazzini che giocavano. “Cu li paddott”.
Soundtrack: “Inverno” – Fabrizio De Andrè
Book recommended: “Il senso di Smilla per la neve” di Peter Oeg
Film recommended: “Frozen” di Chris Buck e Jennifer Lee.
Mario Ciro Ciavarella Aurelio