ALEXEIN MEGAS / The White Bird
Un nome nuovo nel campo della dance elettronica, un esordio, in autoproduzione, per un genere che certamente non mi entusiasma molto, ma quando sento un disco ben fatto soprattutto di un giovane e per di più esordiente, non posso fare a meno di sentirlo, anche più volte.
Innanzitutto questo lavoro ha un bel ritmo, ballabile come si conviene oggigiorno ma con solide radici nella musica del più navigato e famoso Moby se non, oserei dire, nei Bonobo o nei Muse o per restare in Europa, negli Air e nei Daft Punk, tutti comunque figli dei Kraftwerk, per quel sofisticato incedere degli arrangiamenti che a volte sconfina addirittura nel prog. Già nel nome d’arte scelto al posto di quello suo originale, più tradizionale, Antonio Alessandro Pinto, ovvero Alexein che in verità è una variante di Alessio. Il nostro musicista, proveniente dal Cilento, par di capire sia molto ambizioso ma certamente è un creativo in vari campi fra cui quello pittorico per cui era d’obbligo che fosse sua anche la copertina con tante gabbie vuote, vuote per aver liberato l’uccello, bianco, che è in ognuno di noi (parole sue!). Comunque, tornando alla musica, c’e da dire che non è mai banale, un misto di elettronica spaziale con a volte sottofondi orchestrali che ricordano i Tangerine Dream, quasi delle colonne sonore per immaginari film e infatti uno dei suoi ispiratori è proprio John Williams, il grande vecchio di Hollywood che ci ha deliziato con le colonne sonore di Guerre Stellari, ET, Indiana Jones o Schindler’ List, tanto per citarne alcune. La voce di Alexein è quasi sempre soffusa, fin troppo, tanto da ricordare i lamenti di, che sò, una Charlotte Gainsbourg, naturalmente filtrata e quasi sempre presente anche se con poche parole cadenzatete all’infinito. Numerosi i collaboratori, i ringraziamenti all’interno di un foglietto nel Cd, anche se non sappiamo se faccia tutto lui con strumenti elettronici o se è realmente coadiuvato da costoro. Il primo brano del disco è decisamente standard ovvero non proprio una novità ma dal secondo Midnight Lullaby, introdotto da una sirena, già si è convolti da un ritmo incalzante accompagnato da battiti di mani e dal suono delicato di un (quasi) vibrafono. Suoni e ritmi mescolati con incedere orchestrale alla J.M.Jarre anche nel variegato Vector Space. Echi minimalisti ripetitivi nell’introduzione a Disconected che subito però diventa movimentato così pure An Electric Love con le sue (finte) congas, le chitarre acustiche e il crescendo pop. Ugualmente si sente un crescendo, ritmico, ma decisamente da discoteca e fin dalle prime battute, in I Just Wanna Feel Good.
Nel brano che dà il titolo al disco, The White Bird. addirittura non possiamo non pensare ad Ennio Morricone con quella tromba che entra di soppiatto e poi diventa quasi jazz e il coro maschile decisamente da spaghetti western mentre nel successivo Life in a Box colpisce il delicato pianoforte alla Cacciapaglia e l’intervento orchestrale pomposo con momenti di pausa molto emotivi. L’orianteleggiante Rays of a Warm Sunset ci delizia con delicati soffi di violino cui segue un tambureggiare sempre sottolineato da un’orchestra (naturalmente elettronica) in crescendo, e chiude l’album quasi fosse un compendio, un riassunto dell’intero album.
Nicola M. Spagnoli