Con il precedente articolo è iniziata una nuova rubrica, in vista del cinquantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna.
C’era bisogno assolutamente di un’automobile. Per raggiungere Cape Kennedy, in Florida. Ma non per starci lì, e proprio lì sotto, o lì vicino: ma a qualche chilometro di distanza. Anche stare a quella distanza, era utile, per vedere almeno il fumo, o il fuoco, o sentire il rumore del razzo che stava per essere sparato in cielo.
Non si pretendeva di vedere attraverso i finestrini del razzo, i corpi dei tre astronauti. Sarebbe stato troppo. Ma almeno dire un giorno: io ho visto il fumo alzarsi da terra. E io ho sentito tremare la terra sotto i miei piedi. E noi abbiamo visto crollare il traliccio chilometrico che reggeva il razzo. Si sentiva il bisogno di essere testimoni di quell’evento: la partenza per la Luna.
Non era come quando si va in stazione per salutare parenti ed amici che stanno per partire prendendo un treno, quella partenza per la Luna era anomala: i visi dei viaggiatori non si potevano vedere e nemmeno accarezzare con le mani. Ma solo immaginare, chiusi negli scafandri, senza una fisonomia che somigliasse ad esseri umani. Ma ad un qualcosa che stava diventando poco terrestre e molto extra.
Già dal giorno prima, almeno 750.000 spettatori stavano circondando la base di lancio. Armati di cannocchiali, binocoli, e tutto ciò che potesse ingrandire, anche di poco, un siluro che veniva lanciato verso il cielo. Di quel missile si sarebbe visto poco, solo il fuoco e tanto fumo che lasciava come scia. Sembrava una Resurrezione laica: tre Cristi che lasciavano questa Terra per approdare in un posto che nessuno, al di fuori di quei tre, aveva mai visto. La Luna.
Un viaggio verso un Paradiso Lunare che centinaia di migliaia di spettatori, lì presenti, presagivano come una nuova Epifania della scienza: potevamo andare in altri posti che fossero al di fuori del nostro pianeta. L’uomo era riuscito a risorgere, da essere terrestre ad essere lunare. Una nuova rinascita che ci proiettava tra i semidei. Come quelli omerici.
E anche gli spettatori, che erano a pochi chilometri di distanza dalla rampa di lancio, si sentivano partecipi di quell’impresa: tutti loro erano in quel momento Armstrong, Aldrin e Collins. L’intera umanità era stata assorbita da tre eroi che si stavano sacrificando per poi raccontarci cosa c’era al di là delle Colonne d’Ercole dello spazio.
In quei terreni che venivano occupati da tale umanità, c’erano i proprietari che non solo affittavano pochi metri quadrati per spettatore, ma vendevano anche pergamene dove si attestava che Tizio era lì presente in quel giorno dove vide l’uomo volare verso la Luna. Iniziava una netta distinzione tra i presenti e gli assenti. Chi aveva visto dal vivo e chi il tutto lo vide attraverso la tv. E chi magari visse l’impresa ascoltando il commento dalla radio.
L’umanità, in quel 16 Luglio del 1969, venne divisa tra chi c’era, chi non c’era e chi pensava di esserci. Aspettarono anche un giorno intero, in quei campi, gli spettatori. In attesa del lancio. Forse qualcuno pensava che quel razzo non si sarebbe alzato da terra, oppure che sarebbe caduto dopo pochi secondi, o addirittura che sarebbe esploso appena il conto alla rovescia fosse arrivato a “zero”. Spesso pensiamo anche a questo: al peggio. La ragione e la logica a volte non ci vengono incontro. Temiamo che tutto quello fatto sia inutile o poco rilevante: gli sforzi e i sacrifici fatti non daranno i frutti sperati.
E spesso ci basta vedere fuoco e fumo, per poter dire: è partito!! Come quando si parte per un nuovo viaggio che non sia per forza lontano dalla nostra Terra. Ma anche a pochi chilometri di distanza: l’importane è sapere che l’inizio c’è stato.
Mario Ciro Ciavarella Aurelio