Con il presente articolo inizia una nuova rubrica in vista del cinquantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna. Iniziamo con il viaggio di ritorno che poteva non esserci.
Sapevano benissimo che i problemi potevano nascere soprattutto durante il viaggio di ritorno. Iniziando dal Modulo Lunare, che era sbarcato sul suolo lunare, e che doveva riattaccarsi al Modulo di Comando “Columbia”, da dove si era staccato alcune ore prima. Tutto facile a dire. Ma difficile da effettuare. Fortunatamente i tre astronauti ritornarono sani e salvi sulla Terra, dopo otto giorni di missione.
Ma le menti di Armstrong, Aldrin e Collins erano da subito proiettate verso il ritorno: si pensava di non vedere più la Terra. In pochi lo sapevano, ma la missione “Apollo 11” era fin dall’inizio un viaggio spaziale quasi sicuramente di sola andata.
Come quando centinaia di anni fa, i navigatori si avventuravano su mari sconosciuti, e sapevano che il loro ritorno sarebbe stato sicuramente avventuroso e per niente sicuro. Speravano almeno di ritornare a casa anche dopo mesi di ritardo. Ma comunque rivedere i famigliari. Si sapeva che sulla Luna i pericoli non erano quelli di incontrare mostri, e si sapeva della temperatura non terrestre, dell’assenza di gravità, ma il pericolo certo era quello di rimanerci lì sopra. Da soli. Senza pericoli visibili. In un’assenza di vita e di voci che potessero dare un minimo di speranza.
Pensare di vivere in un modo mai sperimentato prima, avrà fatto nascere nei tre eroi, interrogativi e dubbi non di poco conto. Ma quando si trovarono in orbita a migliaia di chilometri dalla Terra, i loro dubbi saranno stati sostituiti dall’immensità del Creato. La magnificenza che si aprì davanti ai loro occhi, avrà fatto mettere da parte tutte le paure del domani: l’immensità avrà chiuso i loro sensi e avrà aperto i loro occhi.
Sentirsi leggeri, senza nemmeno sentire il peso delle loro anime, avrà fatto nascere in loro il dubbio dell’esistenza dello spirito: forse gli uomini sono costituti solo da carne e ossa. Un dio che avrà generato il Mondo in modi e fasi diverse: con gravità e senza, con uomini dotati di anima e quelli senza, con la luce che illumina alcuni pianeti e l’oscurità che non ne mette in evidenza l’esistenza di altri.
Forse avranno avuto il dubbio anche della presenza di vita altrove: la vastità che li circondava non dava segni di vita che non fosse solo sul nostro pianeta. Tutto questo avrà fatto scaturire in loro il desiderio di un veloce viaggio di ritorno: il viaggio di andata stava facendo nascere troppe domande, alle quali nessun umano avrebbe saputo rispondere.
Sentivano nell’animo la voglia e la forza di ritornare a casa il prima possibile: il tempo di passeggiare per due ore sulla Luna, prelevare un po’ di materiale del posto, fare alcune misurazioni e poi via verso casa. Verso casa. Quello era il pensiero primitivo e arcaico che si era innestato nella mente dei tre astronauti, molto prima della partenza: ritornare a casa. Dove le certezze hanno pure dei limiti, ma sono comunque certezze che altrove non riusciamo a trovare.
Il viaggio di sola andata stava per concludersi. E stranamente riuscirono anche a ritornare indietro. Forse ci riuscirono perché così aveva dettato qualcuno che volle che si sapesse, che lì fuori dal nostro mondo, ce ne sono degli altri. E rimanerci su quegli altri, non ci avrebbe aiutato a capire ciò che esiste, da ciò che non c’è, dove i nostri occhi non riescono a vedere.
Mario Ciro CIAVARELLA AURELIO