Attraversiamo un periodo in cui una ricorrenza che dovrebbe esaltare il valore e la riconoscenza del mondo verso il gentil sesso si trasforma puntualmente in una riflessione amara sulla loro condizione. La festa della donna da un po’ di anni in qua assume i contorni di un funesto bilancio di morte, uno stillicidio criminale che non si ferma e colpisce le donne siano esse madri, mogli o compagne, tutte legate tra loro da un tragico destino.
Sono un centinaio le vittime di questa violenza bestiale negli ultimi 13 mesi in Italia – come ci ricorda l’Espresso di questa settimana -, un numero inaccettabile che dovrebbe far riflettere chiunque, sia egli istituzione oppure uomo della strada, entrambi sotto accusa per un problema che ancora oggi non viene recepito completamente come invece dovrebbe.
Le cause di questa mostruosità chiamata femminicidio sono molteplici ma spesso il senso malsano del possesso, quasi fosse un diritto inoppugnabile dell’uomo, un “amore” malato intinto nell’odio e nella follia sono le più frequenti. Una passione criminale, distruttiva, degenerativa, che non trova alcuna giustificazione logica se non in ambienti psichiatrici.
Ma non è soltanto questo. La donna, nonostante i passi in avanti compiuti in questi ultimi anni, – quasi fosse una concessione in contrasto con quanto finora scritto -, resta ancora un oggetto in molti casi, secondario. Non soltanto violenza fisica quindi ma anche psichica allorquando viene sottoposta a giudizio la sua condizione di donna, come se si trattasse di un personalità marginale, relegando la sua figura al massimo al ruolo di moglie e madre col compito tradizionale di fare soltanto figli e badare alla casa, come se altre attribuzioni non le fossero concesse. Le donne non hanno abbastanza parità di merito né in politica, quindi nelle istituzioni, e neppure in altri campi poiché sopravvive ancora una visione maschilista, purtroppo dominante, nei loro confronti, che ha radici lontane ma che oggi non trova più alcuna giustificazione.
Luigi Ciavarella