Nel 2014 presentai questo volume, a distanza di due anni dal precedente: “Leggende (moderne) sulle Fracchie di San Marco in Lamis”, come un ideale seguito, includendo “Le Fracchie nella Passione di Cristo”.
Lo schema che ho voluto seguire in questa pubblicazione è quello della Via Crucis tradizionale. Nel senso che dal 1991 le stazioni della via Crucis sono state “aggiornate” con nuove situazioni, come: Gesù nell’orto degli ulivi, Gesù tradito da Giuda, Gesù è condannato dal sinedrio, ed altre.
Le fracchie inserite nelle 14 stazioni della Passione di Cristo, dove hanno un posto di primo piano, spesso le vediamo “vuote”, nel senso che non sono riempite dalla legna; ma la presenza del solo “scheletro” della fracchia permette ai fracchisti, che seguono i passi di Cristo verso il Calvario, di servirsi di queste fracchie vuote per servire Gesù in modo miracoloso.
L’interno di queste fracchie è una cornucopia divina: dall’interno si può materializzare di tutto, soprattutto acqua. Fuoco e acqua in antitesi ma anche in armonia per aiutare il Cristo a compiere la volontà del Padre.
Anche la Madonna in questa immaginaria Via Crucis la vediamo a fianco della fracchia. Come se questa fosse una testimone muta e ardente dell’amore della Madre verso il Figlio.
E probabilmente fu proprio la Madonna ad ideare la Via Crucis, nel senso che la Madre di Dio, nel ricordare la tribolazione del Figlio, ripercorse in quei giorni, dopo la crocifissione, il tragitto fatto dal Figlio, da Gerusalemme fino al Golgota la collinetta dove avvenne l’atto finale della vita di Gesù sulla terra.
E ad ogni stazione, la Madonna rivide e soffrì ancora una volta, tutto il dolore patito dal Figlio. Patimento un po’ sopito proprio dalla presenza della fracchia a fianco della Madonna.
Il fumo della fracchia che aiuta Gesù a rialzarsi dopo le tre cadute, i cerchi della fracchia che le pie donne di Gerusalemme presentano a Gesù, la fracchia nel Santo Sepolcro come “coadiuvante” per favorire la resurrezione. Sono alcuni dei momenti in cui le fracchie sono protagoniste.
Al termine delle 14 stazioni ho voluto riproporre l’intero libretto “Leggende (moderne) sulle fracchie di San Marco in Lamis”, con qualche rivisitazione e correzione rispetto all’edizione precedente. Che di seguito vado ad illustrare.
Non ci sono molte leggende (o cunte) che parlino delle nostre fracchie. Forse perché questa tradizione non era considerata così particolare dai nostri avi, loro usavano normalmente delle piccole fracchie-fiaccole per illuminare il cammino negli spostamenti notturni e questo stesso tipo di illuminazione agreste lo usavano per le processioni notturne non essendoci l’illuminazione pubblica.
Diversi forestieri che descrivono la processione delle fracchie agli inizi del ‘900 dicono che c’erano oltre 300 fracchie che andavano dietro la processione del giovedì santo. Le fracchie erano semplici fiaccole che servivano per illuminare, era, come si usa dire, un’usanza contadina che si perde nella notte dei tempi.
“Solo” nel 1925 si ebbe la prima fracchia montata su carrello, quando Donna Michelina Gravina (la fondatrice della locale Opera Pia, residenza per anziani) la fece costruire dai suoi dipendenti per esprimere “maggiore devozione”.
Da allora si è cominciato a costruire fracchie grandi montate su ruote: è partito il “gigantismo”. Prima di allora le fracchie erano di piccole dimensioni (da 10 a 30 kg.) venivano portate sulle braccia aiutandosi con una pertica messa di traverso e un terzo fracchista la sorreggeva dalla “coda”.
Molto probabilmente questa tradizione di utilizzo di fiaccole in processioni sacre, che è presente anche in altre realtà religiose nel mondo, risente di un residuo di religiosità arcaica, come tutti i riti festivi legati al fuoco, soprattutto quelli che si svolgono all’inizio della primavera (e della Pasqua) quando il buio dell’inverno fa spazio alla luce della nuova stagione in arrivo: la luce della fracchia potrebbe rappresentare la rinascita della Natura e quindi dell’uomo, il sole è più presente e più caldo che in precedenza.
Ed è proprio perché questo utilizzo delle fracchie per illuminare l’oscurità della notte era spontaneo per le nostre genti montane del Gargano e non era un fatto inconsueto ma ordinario, ha fatto sì che non ci sia stata la necessità di creare leggende o miti per giustificare la presenza di fracchie accese durante la processione della Madonna Addolorata e così non sono stati creati racconti, trasmessi oralmente, che parlino di questi “falò mobili”, eccettuati alcuni brevi “cunte” da raccontare attorno al focolare domestico per intrattenere ed istruire i fanciulli.
E quindi ho pensato di scrivere in dialetto sette “leggende” (moderne … appunto) dove sacro e profano si mischiano (amichevolmente) per rendere il tutto più leggero e non solo drammatico, considerando che si parla della Passione e dell’omicidio di un Uomo che ha cambiato il corso della storia.
In queste leggende, ma io preferirei chiamarli “cunte” (racconti o favole) ho pensato anche di ambientare un episodio della vita di Gesù, proprio a S. Marco con la fracchia sempre come protagonista. Come nel racconto intitolato La Fracchia dell’orte de Santa Chiara dove immagino che l’ultima cena sia avvenuta alle spalle dell’attuale chiesa di Santa Chiara, dove fino a parecchi decenni fa c’era un orto.
Andiamo ad analizzare, uno ad uno, li cunte di questo volume.
Il presente libretto si apre con una storia a me molto cara poiché già pubblicata un anno fa e inserita nella pubblicazione “Fochera ‘mpette mestecate” a cura de La Puteca (Officina Autori Dialettali Sammarchesi). La storia si intitola Lu meracule della fracchia de Sante Vardine dove immagino che alcuni ragazzi fanno un voto alla madonna dopo aver combinato un guaio …
Segue il racconto La fracchietedda de Gesù Bambenedde, anche Gesù Bambino nel suo piccolo (scusate!) sapeva anche fare le fracchie ed è proprio una di queste, regalata a sua madre, servirà più delle altre.
Dicevamo del racconto ambientato nell’orto di Santa Chiara (quello più delicato) dove la protagonista principale, oltre a Gesù, è proprio una fracchia. In questa storia tratto la figura molto controversa di Giuda, al quale da molti viene riconosciuto il ruolo di colpevole della morte di Gesù e da altri come “vittima” del disegno divino. Ma faceva comunque parte del Piano di Salvezza, rendendo possibile la morte redentrice di Gesù. A suo svantaggio c’è il fatto di non aver chiesto perdono, come fecero ad esempio Pietro e il ladrone sulla croce. Cosa c’entra anche Giuda con la fracchia? Lo capirete leggendo questa storia.
La quarta storia si intitola La fracchia dell’Opera Pia il sottotitolo potrebbe essere “alla vecchiaia li caveze rosce”. Alcuni ospiti “diversamente giovani” della nostra Opera Pia si sono messi in testa di costruire una fracchia … Non vinsero il primo premio ma qualcosa di più importante!
E dopo gli ospiti della casa di riposo è la volta de La fracchia inte lu sabbulecre (La fracchia nel sepolcro) e qui iniziamo ad andare un po’ troppo veloci con la fantasia e di conseguenza (ma non è quello che vogliamo?) entriamo direttamente nella leggenda. Lo sapevate che Giuseppe d’Arimatea (il proprietario del sepolcro di Gesù) aveva una fracchia(?!)
E visto e considerato che queste storie (in un futuro molto lontano…) diventeranno delle leggende, perché non far accompagnare Gesù trionfante in Gerusalemme con delle fracchie e non solo con le palme? Lo scoprirete leggendo la “leggenda” “La dumenneca delli fracchie”.
E infine, quella che secondo me è la più bella storiella di questo volumetto: La fracchia de inte la strada de Viccione (La fracchia di via Cavour). Permettetemi questa autocitazione, visto che io abito proprio lì dalla nascita, e penso anche per molto altro tempo…
Cosa narra questa storia? Cinque ragazzi “in gamba” pensano bene (o male, dipende) di costruire una fracchia, ma il “falò ambulante” non riesce proprio bene bene, perché??
I disegni per le “Leggende moderne” sono stati realizzati dalle alunne della sezione Moda-IPSIA dell’IISS “P. Giannone” di San Marco in Lamis: Carolina Papagno, Rosa Pirro, Anna Maria Saracino, Angela Pia Gualano, Antonella Tancredi, Loredana Pirro. A cura della professoressa Antonella Scarano.
Mario Ciro Ciavarella