Andare per campi a raccogliere erbe è un’antica abitudine che ancora esiste e resiste a Rignano Garganico e dintorni.
E questo è possibile, grazie al consistente e vario patrimonio erbaceo spontaneo che cresce nel territorio montano e pedemontano del Gargano e, in generale, nell’intera Capitanata, più limitata e diffusa a macchia di leopardo, comprendenti zone a nicchiarico (non coltivate) e i bordi delle strade e canali, spesso inquinati per l’attraversamento delle auto e i residui di concimi.
Basti pensare, per esempio, ai ‘terrazzani’ di Foggia, stirpe ormai in via di estinzione, per via dell’avvento del consumismo e delle cambiate abitudini alimentari della gente, ma anche per l’accresciuta produttività delle specie coltivate, reperibili oggi a buon mercato. Infatti, molti di essi continuano il mestiere dei loro avi, guadagnandosi il pane quotidiano attraverso la raccolta e la vendita al mercato delle verdure selvatiche raccattate qui e là.
Torniamo alle nostre zone. Talune specie, dato la diversità del microclima da luogo a luogo, rinnovano il loro ciclo vitale più volte nel corso dell’anno. E’ il caso dei cosiddetti “carducci o carduzzi”, sotto specie del Carduus (in foggiano: cardoncello; da non confondere con il fungo di Altamura) verdura lessa che accompagna l’agnello pasquale. In pianura, sia spontaneo che coltivato, si raccoglie solo nei mesi di aprile-maggio, sulle alture si trovano anche nei periodi freddi, in autunno ed inverno.
Parimenti alcune qualità di funghi lamellari, come il “cantarellum” (“caldarello” e gallinaccio) e il prataiolo, che si trovano sia in primavera che nell’autunno inoltrato. Gli asparagi sui declivi e le pendici della montagna si trovano all’inizio della primavera, in montagna fino ai primi giorni di maggio. Così pure dicasi per tante altre specie di erbe e verdure commestibili da prato, come finocchietto, cicorie, i cicorioni, i caccialepri, cacigni, bietole selvatiche, “regine” (cicorie grasse) e via discorrendo.
Verdure mangerecce conosciute sin dai tempi antichi. Tra le erbe aromatiche, vige l’uso della raccolta ed essiccazione del seme di finocchio, del fogliame di menta, origano, salvia, rosmarino, timo, alloro, ecc.
Tra le erbe officinali, sia da prato che del sottobosco da essiccare e da usare come decotto o impacchi vari, sono da evidenziare, oltre al medesimo alloro, fiore di malva, camomilla, foglie di more, ecc. Nelle diverse stagioni la raccolta delle verdure selvatiche è assai praticata in paese. Basta spostarsi dall’abitato di alcune centinaia di metri per trovarne quanto ne vuoi, ma di questi tempi che la montagna è pressoché incolta ed abbandonata sia da parte del pubblico sia da parte del privato, il discorso si fa alquanto difficile e forse pericoloso.
E questo perché l’intera zona è regno incontrastato di pochi pastori ed allevatori di animali allo stato brado. Circostanza, quest’ultima, assai apprezzata dalla collettività per via del recupero che se ne fa sul piano economico, ma non su quello comportamentale e relazionale, ritornato ai tempi della pietra, specie quando gli attori sono isolati, disinformati e poco amanti della socialità. Quindi, bisogna stare molto attenti, prima di avventurarti a cuor leggero in siffatti luoghi di allevamento, perché potresti trovarti di fronte all’improvviso degli energumeni, come sarebbe già capitato tempo fa ad alcuni cercatori di erbe selvatiche (cicorioni, finocchietti, asparagi, ecc.), addentratisi nelle campagne di proprietà comunale ad esercitare il loro sacro e vitale diritto agli “usi civici” tramandato loro di generazione in generazione.
Usi, come noto, che talvolta gravano anche su terreni privati non riscattati. All’improvviso sarebbe apparso loro un energumeno che li avrebbe apostrofato duramente, cacciandoli letteralmente dai terreni demaniali, come se fossero suoi. Niente di grave, anche perché la “violenza” si sarebbe limitata all’intemperanza verbale. A questo punto ci chiediamo come è possibile sviluppare il turismo ambientale o quello sportivo ed agrituristico se la gente della montagna è così rude e poco ospitale?
Infine, l’ultimo ed altrettanto “schifoso” episodio sarebbe capitato ai danni del giardino della centralissima piazza San Rocco, dove uno dei tanti alberelli che la adornano è stato da mani ignote letteralmente “scorticato” vivo fino alla chioma, con sommo e conseguente dispiacere di coloro che lo misero a dimora, assieme al resto delle piante, una ventina di anni fa.
Di seguito, le principale erbe selvatiche che si trovano in zona.
Cascigno o cacigno. Esistono due specie appartenenti alla stessa famiglia: il crespigno sfrangiato (Sonchus tenerrimus) e il crespigno dei prati (Sonchus arvensis), commestibili ma meno gustose. Altre piante somigliano molto al crespigno, ad esempio il tarassaco.
Borragine (Borago officinalis), appartiene alla famiglia delle boraginacee. L’uso tradizionale è allo stato cotto delle foglie, che vengono utilizzate in molti piatti regionali per minestroni, ripieni per ravioli, torte e frittate. Tipico è il consumo in frittelle dei fiori e delle foglie (passate in pastella e poi fritte). Le foglie sono usate anche crude per insalate. Ma l’uso è alquanto sconsigliato, per vie di alcune sostanze tossiche anti-fegato.
Malva (Malva sylvestris) è una pianta appartenente alla famiglia delle Malvaceae. Grazie alle sue proprietà emollienti e antinfiammatorie. La malva, oltre a combattere i raffreddori, serve per regolare la funzione dell’intestino. La malva fiorita essiccata viene utilizzata, invece, nei periodi invernali per eliminare il mal di gola e la tosse.
Finocchio (Foeniculum vulgare Mill.) è una pianta erbacea mediterranea della famiglia delle Apiaceae (Ombrellifere). Vi due tipologie di finocchio: quello selvatico (conosciuto anche come finocchietto o finocchio amaro) e quello coltivato (anche chiamato finocchio dolce). Entrambi costituiscono componenti di diverse ricette e cotture. La chioma del selvatico, una volta essiccata è detto seme di finocchio e serve come condimento in diverse ricette gastronomiche e per aromatizzare le carni grasse, specie di maiale.
Cicoria comune Cichorium intybus è una pianta erbacea, perenne con vivaci fiori di colore celeste, appartenente alla famiglia Asteraceae. La cicoria selvatica è una delle erbe di campo più conosciuta e raccolta. Abbastanza semplice da riconoscere grazie al suo fiore blu indaco diviene ottimo ingrediente di ricette tradizionali della cucina contadina. Cruda, detta anche cicorietta, viene usata per condire insalate o in misticanza con altri tipi di verdura selvatica. Se coltivata, dai gambi di una delle varietà della pianta, detta‘cicoria catalogna’, derivano le puntarelle famose in cucina. Sia con lo spezzatino, sia se lesse ricoperte da pane grattugiato e condito con olio di oliva, sia da sole, come contorn con olio e sale.
Cicorione, sottospecie della cicoria. Di esso vi sono tre varietà: il paparino, assai pregiato e leggermente amaro; il grasso, con foglie più spesso e un po’ più amaro, detto anche regina; quello di pietra, assai piccante e leggermente amaro.
Bietola (Beta vulgaris) è una varietà di barbabietola, pianta appartenente alla famiglia delle Chenopodiacea. Ha foglie larga di un verde luminoso e il gambo di colore rossaceo.
L’ortica (Urtica dioica L., 1753) è una pianta erbacea perenne dioica, nativa dell’Europa, dell’Asia, del Nord Africa e del Nord America, ed è la più conosciuta e diffusa del genere Urtica.[1] Possiede peli che, quando si rompono, rilasciano un fluido che causa bruciore e prurito. La pianta è nota per le sue proprietà medicinali, per la preparazione di pietanze e, nel passato, per il suo esteso uso nel campo tessile.
Caccialepre (Reichardia picroides). Pianta erbacea perenne fornita di una radice ingrossata dalla quale, al sopraggiungere dell’inverno, vengono emessi getti formanti una rosetta basale di foglie tenere e carnosette, di colore verde-glauco. Si trova spesso in terreni alquanto sassosi. Il suo uso alimentare è sempre lesso e serve per la misticanza (il composto lesso di varie verdure).
Carduccio o cardoncello (carduus), cardo tenero, commestibile soprattutto in Primavera. Sul Gargano cresce durante tutto l’anno. In quasi tutta Puglia costituisce, dopo lo sfogliamento, abbinato alla carne d’agnello, il componente essenziale del pranzo o cena pasquale.
Code di Cavallo (equisetum). i germogli di alcune specie simili agli asparagi sono mangerecci, oltre che medicamentosi. Raccolti in primavera sono utilizzati in cucina. Dopo la lessatura vengono impanati e fritti o conditi con aceto. L’equiseto può essere aggiunto a zuppe o minestroni come integratore di sali minerali.
Porcacchia (Portulaca oleracea): è un’erba grassa di incerta origine da sempre assieme ad altre erbe primaverili è molto utilizzata in cucina come erba aromatica e in misticanza per le insalate. Le sue foglie carnose di colore verde chiaro si raccolgono durante la stagione estiva quando la pianta è più ricca di sostanze nutritive e sali minerali. I rametti di essa, privati dello strato di peluria, possono essere conservati sottolio.
Rucola (Eruca vesicaria). La selvatica, detta anche rughetta, a foglie strette, per via del suo sapore deciso viene assai utilizzata in cucina, specie se abbinata alle patate, o nella misticanza assieme ad altre verdure. Le foglie sono usate anche per ricavare il tipico pesto per condimento della pasta.
Asparago o asparagio (Asparagus officinalis), dal greco aspharagos appartiene alla famiglia delle Liliaceae è assai apprezzato dai buongustai in tantissime ricette. Possiede anche particolari proprietà diuretiche.
Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso la raccolta delle erbe selvatiche spontanee era una pratica pressoché generalizzata tra la popolazione. A primeggiare erano soprattutto le donne, che, andando nella periferia del paese, riuscivamo puntualmente a recuperare la provvista quotidiana per il pranzo e la cena della famiglia, in assenza dei mariti, impegnati prima in guerra e successivamente a guadagnarsi col sudore della fronte la paga quotidiana, assai bassa in ogni settore, specie quello agricolo – bracciantile, esercitato sia sopra in montagna sia sotto nella sterminata piana.
La ‘pia’ pratica, per modo di dire, perdurò sino agli anni ’70, con l’avvento sul mercato della verdura coltivata, a prezzo contenuto e considerata, a torto, la migliore. Non scomparve, comunque, del tutto, ma ci furono alcuni, vuoi per passione, vuoi per necessità, vuoi per lucro, continuarono l’antica pratica fino ai giorni nostri, accontentando di tanto in tanto gli irriducibili vegetariani e i buongustai di casa nostra. Solitamente la vendita, che, talvolta, vedeva impegnata l’intera famiglia, avveniva, girando per le strade del centro storico e del resto del paese, con la mercanzia portata a spalla, che sparira nel giro di qualche ora.
L’ultimo raccoglitore e venditore della preziosa merce alimentare è stato Giovanni Resta, detto scherzosamente il ‘dottore’ (non si sa perché), scomparso da poco, con sommo dispiacere e rimpianto dei patiti di questo prezioso e variegato supporto alimentare naturale. Ora, a portare la ‘bandiera’ dei raccoglitori, sono rimasti in pochi, quelli che lo fanno per hobby, ossia per godersi qualche ora di aria pura tra le sconfinate campagne vicine e lontane e soprattutto per la ricerca fine a sé stessa. E sono per davvero felici, quando si trovano all’improvviso di fronte a questa o a quell’altra primizia di verdura stagionale. Affondano immediatamente il coltello e la estraggono con delicatezza, rimettendola nel ‘comodo’. Dopo di che lo portano via seduta stante, riprendendo il cammino di ritorno, al fine di rimettere il tutto in frigo, per preservarne la freschezza, in vista della bisogna culinaria, prossima o ventura che sia. (AntDV)