Ma Woodstock fu una vertigine
Un viaggio sentimentale legato al ricordo del famoso Festival Rock
Scoprii le meraviglie di Woodstock un paio d’anni dopo lo svolgimento dei fatti. Il triplo album vinilico che ne sortì (in seguito anche un doppio integrativo che includeva anche gli assenti del primo tomo) lo comprai da un amico che me lo cedette volentieri per pochi franchi, che si chiamava Ives come Ives Montand e gli piaceva il blues. Da lui ricevetti i primi rudimentali insegnamenti di musica blues al punto di immaginare la costituzione di una band incentrata sulla musica del diavolo, contaminata però con il boogie sull’esempio dei Canned Heat, peraltro presenti con un brano (Going Up the Country), in apertura del primo disco subito dopo John B.Sebastian. Questi due nomi furono i primi che mi colpirono, (forse insieme a Coming Into LosAngeles di Arlo Guthrie), che avrei portato dentro di me per il resto della vita: il “sogno” di John Sebastian e la voce in falsetto di Alan Wilson. Ogni tanto mi vengono in mente, soprattutto verso metà agosto, quando l’inevitabile ricordo di Woodstock riaffiora inesorabile dalle nebbie del passato. In verità è tutta la prima facciata dell’album che mi è rimasta dentro. Nonostante gli anni trascorsi ritengo – forse a torto – che sia la parte più rilevante dell’album. Non che le altre facciate siano da meno ma la prima, come il primo amore, è quella che ricordi di più. A seguire tre cantautori di cui uno, il “comunista” Country Joe McDonald, elevato a simbolo rivoluzionario del festival per i suoi proclami anti Vietnam, rimane la presenza più singolare del festival. Sicuramente insieme ai Jefferson Airplane di Grace Slick, finiti nel secondo disco, come dire la parte più esposta politicamente. Da non sottovalutare il fatto che l’America in quel momento stava attraversando un periodo molto difficile a causa della guerra in Vietnam. L’impatto negativo che questo tragico evento ebbe sulla nazione, soprattutto giovanile, finì per condizionare lo svolgimento del festival. Al termine del primo disco anche due brani di Joan Baez, altra paladina dell’impegno civile, che invece perorò la causa dei diritti umani. Joe Hill rimane un piccolo affettuoso ricordo di quel periodo.
L’acquisto del triplo vinile dellaCotillion, che il mio amico si era disfatto perché lo riteneva negativo, rappresentò per me invece una vertigine, una vera rivelazione epocale poiché mi consentiva di entrare in relazione con un universo popolato di nomi importanti del rock che servirono da base per la conoscenza del genere. Molti di quei nomi mi erano ancora ignoti ma che non tardai molto ad apprezzarli: Crosby Stills Nash e Young, Joe Cocker,Who, Ten Years After, Santana, etc. ma soprattutto lui, Jimi Hendrix, che a Woodstock non brillò per una serie di cause che principalmente possiamo ricondurre alla cattiva gestione del festival. Jimi suonò all’alba del terzo giorno in un ambiente spettrale, tra gente che ancora dormiva e altre che già stavano facendo i bagagli per il ritorno. Invece quelli che ebbero grandi benefici (che fecero più impressione) dalla tre giorni del festival furono principalmente tre: Joe Cocker, Ten Years After eSantana. Al trio possiamo aggiungere coloro che invece ebbero una gloria effimera tipo Sha Na Na o Ritche Havens, che diventò “immortale” per un solo brano, Freedom, suonato con la chitarra su una sola nota. I Santana si distinsero per una performance dagli incredibili e gustosi intrecci tra musica latina e rock, con ritmi davvero coinvolgenti. Mentre Joe Cocker resterà scolpito nella storia del festival per With little help from my friend, in origine un innocuo brano dei Beatles di Sgt. Pepper’s che lui trasformò in un brano soul dalla lunga durata; i Ten Years After di Alvin Lee rimarranno nei nostri cuori per I’m Going Home, l’inno più emblematico della generazione Woodstock, per quella energia inusuale manifestata sul palco, contagiosa, che segnò un’epoca irripetibile.
A distanza di cinquanta anni da quello, per certi versi, storico concerto rimangono alcuni simboli che il tempo non ha ancora rimosso, le celebrazioni inevitabili e i ricordi lontani di chi c’era e chi, come me, seppure a distanza di qualche anno, accolse il messaggio di pace amore e musica che il festival provò a trasmettere al mondo.
Non è vero che furono tre giorni di Peace & Love come ingenuamente vollero farci credere. In quell’ambiente promiscuo fu sperimentato ogni tipo di droga, ci furono anche omicidi come ci furono nascite miracolose, i disagi causati dalla pioggia incessante e la incredibile massa di spettatori (si calcola ufficialmente mezzo milione di persone ma una stima precisa non esiste) che si trovò presto in condizioni precarie per mancanza assoluta di assistenza da parte dell’organizzazione. Il terzo giorno, finite le scorte alimentari, fu costretto a intervenire l’esercito.
Non sappiamo se Woodstock abbia chiuso o aperto una nuova era. Ciascuno possiede una propria idea in merito. I Festival erano tuttavia già una realtà prima ancora di Woodstock. Il più celebre rimane quello di Monterrey(California) svoltosi due anni prima, e quello di Atlanta(Texas) consumato l’anno successivo a Luglio, il quale raccolse ancora più gente rispetto a Woodstock. In Europa la stagione dei raduni (Anche in Italia a partire dal 1971, celebre quello romano di Villa Pamphili) ebbe una stagione fertile proprio sull’esempio di Woodstock tra cui il più importante rimane quello svoltosi all’isola di Wight nel luglio del 1970, celebrato un anno dopo Woodstock, che raccolse in quella piccola isola britannica qualcosa come 600 mila spettatori.
Già da qualche decennio l’intera colonna sonora è venuta compiutamente alla luce grazie al tempo che ha rimosso le clausola di protezione dei diritti e l’avvento del digitale che è riuscito a concentrare in una collezione di cd l’intero patrimonio sonoro. Grazie a queste riscoperte siamo venuti a conoscenza delle registrazione live dei Creedence Clearwater Revival, che John Fogerty si era sempre rifiutato di concedere (ed aveva ragione), intere performance di la Band, Janis Joplin, Johnny Winter, Grateful Dead, Mountain, etc. oltre alla versione integrale di Tommy dei Who, epocale Opera rock ancora oggi fresca ed emozionante come ieri, come sempre. Dopotutto il compito principale del Festival credo sia stato quello di fermare il tempo in una dimensione sospesa nell’infinito. Ciascuno vi trova una parte del proprio sogno. Almeno per quelli della mia generazione. Proprio come io e Ives quel giorno di settembre del 1971 avevamo immaginato il nostro futuro.
Luigi Ciavarella