C’era una volta la scuola (prima puntata)
In occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico, ripropongo solo la prima puntata di questa rubrica composta da sette articoli. Dove parlo dei primi anni ’70: la mia Scuola Elementare.
La prima cosa “strana” che faceva un po’ “impressione” quando si frequentava la Prima Elementare, era quella di ritrovarsi insieme nella stessa classe, con dei bambini che si conoscevano già. Ed erano quelli che avevano frequentato il nostro stesso asilo!! “Ma come è possibile, sono diventato grande, e devo stare ancora con quel bambino che all’asilo piangeva sempre??” Era una considerazione che molti di noi facevano quando rivedevano dopo pochi mesi, bambini appena salutati all’asilo. Dal panierino alla cartella scolastica, il passo non ci sembrava così breve.
Chi frequentava la prima classe delle elementari, doveva considerarsi un bimbo cresciuto! Così come si raccomandava la mamma, quando istruiva il figlio che doveva andare a Scuola! La Scuola con la “s” maiuscola iniziava a 6 anni. Poi, c’erano i bimbi “prematuri” che iniziavano il lungo cammino scolastico a 5 anni (la “primina”), per ritrovarsi un anno davanti agli altri dello stesso anno di nascita. E poi, c’erano i genitori che non volevano che il proprio figlio iniziasse la scuola un anno prima: preferivano che “dormisse ancora per un anno”.
Sembrerò un po’ esagerato: conoscere alcuni bambini in età scolastica, e poi intraprendere con loro tutto l’iter formativo che andasse oltre le scuole elementari, poteva influenzare le scelte future. È come se la formazione scolastica fosse già stata decisa da tempo, non tanto da noi, ma soprattutto dagli amici conosciuti man mano che si cresceva scolasticamente.
Primo giorno di Scuola: un sospiro di sollievo lo si tirava quando si incontrava in Prima Elementare, qualche amichetto che abitasse nella stessa via. Così l’amicizia già consolidata “int la stessa strada”, si rinforzava ancora di più. Soprattutto quando, si chiedeva all’amico di prestargli il quaderno, che doveva copiare il compito dato per casa: bastava uscire dalla propria abitazione e andare in quella di fronte. Operazione da fare dopo le ore 17: si doveva dare un po’ di tempo all’amico più bravo di finire “li scritt per casa”.
E cos’erano questi compiti per casa in Prima Elementare? Quasi sempre si ripeteva quello che si faceva in classe. Solo che lo studio fatto in classe, per casa veniva quintuplicato!! Se in classe si facevano due pagine di “mazzaredd”, a casa di pagine di “mazzaredd” o di “seggetedd”, ne dovevano essere fatte dieci. E lo steso dicasi delle tabelline messe per iscritto.
Però prima di espletare i compiti, la pagina del quaderno a quadretti doveva avere la giusta cornice. E infatti si facevano le “cornicette” ai quattro lati di tutte le pagine del quaderno a quadretti. Le “cornicette” erano delle linee oblique che prendevano al massimo due quadratini laterali, in modo da fare due colonne ai lati di ogni pagina; e in alto e in basso altre cornicette dello stesso spessore; che poi venivano colorate. Lavoro di precisione che ti dava la sensazione che le parole scritte dentro quelle pagine, non potessero fuggire. Era un senso del possesso ante litteram.
Ed erano belle le “cornicette”. Dovevano avere quattro colori diversi: uno per lato, e in alto si metteva la data del giorno in cui veniva fatta. E all’interno di questa scenografia, si scriveva tutto quello che il maestro decideva: “mazzaredd”, “seggetedd” (per imparare al fare il 4), “stasciulett”, serpetedd” (per imparare a fare la “esse”), “croc” (per la “x”) ed altri simboli che iniziavano a farci capire che oltre agli oggetti disegnati in modo stilizzato, c’erano anche dei numeri e delle lettere da associare, dopo aver riempito alcuni quaderni in questo modo.
Il quaderno a righe serviva per i compiti scritti di Italiano, Storia ed altre materie Umanistiche. E aveva delle righe più larghe ed altre più strette: servivano per insegnarci a distinguere le lettere maiuscole da quelle minuscole. La prima lettera, maiuscola, ce la facevano scrivere con la penna rossa, il resto delle parole con la penna nera o blu.
Non sia mai c’era qualche bimbo che scriveva con la mano sinistra (“mancenedd”), veniva costretto ad imparare a scrivere con la mano destra (“la mana deritta”). All’epoca “l’ignorantità” degli educatori non era poca!!! Poi arrivarono i sociologi, psicologi, educatori specializzati e tutto ciò che ha a che fare con la mente umana; e tante cose giustamente cambiarono!!
I banchi in classe erano neri, dove in alto a destra si trovava un buco: era servito tanti anni prima ad appoggiare il calamaio; e in basso, in posizione centrale, c’era un piccolo avvallamento dove si appoggiavano le penne e le matite. Il sostengo del banco e i sedili erano grigi. Tutto rigorosamente in legno duro: per spostare un banco del genere ci volevano due bidelli!! E si aprivano!! I banchi si aprivano verso l’alto, e dentro c’era un piccolo vano dove si appoggiava la cartella.
In ogni classe c’erano almeno 25 bambini. Spesso si ritrovavano a frequentare la stessa classe, scolari che erano fratelli: uno dei due (anche tre) era stato respinto qualche anno prima. All’epoca si respingeva anche alle Scuole Elementari! Soprattutto per motivi di assenza: molti bimbi aiutavano i genitori in campagna, e facilmente non frequentavano la scuola. E senza attendere l’esito della pagella, già sapevano che dovevano ritornare l’anno dopo nella stessa classe, dove avrebbe studiato insieme ad un fratello che aveva un anno in meno di età. Erano altri tempi. E una società completamente diversa da quella di oggi.
Le classi erano rigorosamente divise per sesso!! Bambini con i bambini, e bambine con le bambine!! Come in chiesa: nei banchi di destra i fanciulli, e in quelli di sinistra le fanciulle. Ecco perché molti durante la crescita (“lu svelupp”) rimasero traumatizzati: per aver detto ciao per la prima volta ad un ragazzo/a almeno a 13 anni!!! Erano sempre altri tempi… come già abbiamo detto.
I grembiuli erano obbligatori!! Le mamme facevano sacrifici anche per dare un corredo scolastico ai propri figli, e di figli in una famiglia di tanti anni fa, ce n’erano tanti!! Era quasi un obbligo fare tanti figli, altrimenti la gente parlava (!!??). Giusto per darvi l’idea di questa fesseria: un amico mio si ricorda che ai suoi tempi, se un padre aveva 2-3 figli, gli amici lo consideravano un omosessuale (!!??) Erano altri tempi… questo già l’abbiamo detto…
Dicevamo dei grembiuli, i maschietti ce l’avevano nero con il fiocco alla gola azzurro, le femminucce era bianco con il fiocco alla gola azzurro. E sul braccio sinistro si cuciva uno scudetto dove c’era scritto in numeri romani, la classe che si frequentava (prima elementare: I, quarta: IV e così via…)
I grembiuli duravano poco: tra lotte, lembi di grembiuli che si infilavano sotto i chiodi dei banchi, e la cintura che stava dietro al grembiule e che veniva continuamente tirata dall’amico che stava in fila dietro di te; la divisa scolastica dopo pochi mesi veniva “repezzata”: non c’erano soldi per comprarne delle altre.
E poi ci si sporcava spesso: durante la ricreazione si mangiava nei corridoi, quel poco che si portava da casa: pane e mortadella, pane e nutella, pochissimi bambini portavano le merendine, e se le portavano dovevano “fa muccecà” a quasi tutta la classe. Era meglio non portarla. Ci si puliva con il grembiule, i salviettini di carta ancora non erano alla nostra portata. Così pure il naso, a volte veniva pulito con il grembiule. Erano altri tempi… (questa è l’ultima volta che lo dico…)
In classe doveva esserci silenzio assoluto: altrimenti gli scolari sapevano a cosa andavano incontro, alle bacchettate!! C’erano due tipi di bacchette che il signor Maestro usava: la bacchetta di “ferla” e quella di canna. Quella di “ferla” era più doppia, e serviva anche per lanciarla verso lo scolaro se per caso si fosse addormentato in classe.
Durante il turno pomeridiano (dalle 14 alle 17) quando qualche scolaro si addormentava, il maestro faceva segno agli altri bimbi che stavano seduti davanti a quello addormentato, di spostarsi, in modo tale il maestro avesse campo libero per colpirlo meglio con la bacchetta lanciata dalla cattedra (caliamo un velo pietoso…)
La bacchetta di canna era lunga e sottile, e serviva soprattutto al maestro per non spostarsi troppo tra i banchi, riuscendo lo stesso a darla in testa al bimbo cattivo. Per dare le bacchettate, quella più idonea era quella di “ferla”. Le bacchettate venivano date: ai bambini che facevano chiasso in classe, a quelli che non avevano fatto i compiti a casa, a quelli che si recavano a scuola con le mani sporche… praticamente a tutta la classe.
E guai a togliere la mano mentre il maestro ti stava bacchettando: se toglievi la mano, la bacchettata te la dava in testa, e poi sulle mani. C’era un metodo poco scientifico, per non sentire dolore dopo le bacchettate: cospargersi il palmo delle mani con dell’aglio!! Sono tutt’ora in corso studi per capire se questo metodo funzionasse…
A volte il maestro perdeva le sue bacchette (chissà chi gliele rubava) e chiedeva ai suoi scolari di procurargliele. E c’era sempre un bimbo che diceva: “Massera papà ve dalla massaria e ne lu dich, chisà la po fa allu cerr delli ceras”. Il signor Maestro per ringraziare quel gesto così nobile di quel bambino, la bacchetta non la usava per un po’ di tempo: come una tregua solidale.
Non voglio parlare delle punizioni molto più dure e assurde alle quali molti bambini vennero sottoposti: scolari inginocchiati dietro la lavagna con ceci sotto le ginocchia, ed altri con delle orecchie di cartone come quelle degli asini, messe sopra le orecchie di alcuni ragazzini… sorvoliamo.
Un classico dell’apprendimento della grammatica era quello di far leggere tutte le lettere dell’alfabeto su dei quadretti messi sulle pareti della classe. Dove per imparare come si leggeva e scriveva la lettera “a”, c’era il disegno di un’ape, e la lettera “a” scritta ai quattro angoli di quel disegno. Lo stesso dicasi per la lettera “b”, c’era il disegno di una bottiglia e la lettera “b” scritta quattro volte agli angoli di quel disegno.
Il problema nasceva quando il piccolo scolaro doveva leggere vedendo la figura con la lettera “u”, dove c’era il disegno dell’uva. Così, dopo aver letto ad alta voce per quattro volte la lettera “u”, invece di dire uva, diceva… “raspo”!! E giù bacchettate a tutta carica. Lo stesso dicasi della lettera “i”, imbuto, ma secondo molti era… “mutiddo”! Altre bacchettate.
Mario Ciro CIAVARELLA AURELIO