A Salvatore, che, di lì a poco, si farà avanti per le sue doti di compositore – paroliere, aprendo addirittura una casa editrice nel noto e centralissimo Via del Corso. Si chiamava “Salvarama”. Era a fianco a quella discografica di Celentano e clan, di cui da ora in poi dovettero avere a che fare, stringendo rapporti di amicizia con diversi cantanti del Clan, come Tony Spada, Don Backy, ecc. e di altri grandi artisti, come il Peppino Prencipe, nativo di Monte Sant’Angelo (1927). Quest’ultimo, a quel tempo era ritenuto il più grande fisarmonicista del mondo. Le sue ardite e ritmiche suonate se le ricordano tutti, specie quelli dell’età dei dischi vinile sia a 78, sia quelli a 45 giri e a 33.
Nelle serate da ballo di un tempo, di solito fatte in casa, non mancava mai un suo disco da ballo, dove era inciso oltre alla casa discografica, anche il suo nome. Tra le sue composizioni più note, da evidenziare El bandito, il Volo del Calabrone, ecc. Altrettanto nota era la sua origine montanara, che veniva citata in ogni occasione con manifesto orgoglio dai conterranei.
Come accennato, per prima volta Ottavio ebbe modo di conoscerlo e parlarci di persona alla fine degli anni ’60. L’evento capitò nella sua ‘villa’ a Cinisello Balsamo. Ce lo portò lo stesso amico Salvatore. Con quest’ultimo aveva in comune l’amore per il Gargano e per le belle parole e la composizione letteraria in generale.
Pure Ottavio compose le parole di alcune canzoni, fatta incidere puntualmente dal suo amico – editore. Per esempio “La donna è come la molla”. Dal suo canto, Ottavio già aveva pubblicato articoli sui giornali nazionali e avevo cominciato da poco a collaborare ad una appena nata rivista di quartiere nel Capoluogo lombardo, vicina ad un certo ed ancora sconosciuto Craxi, il futuro segretario del Partito Socialista Italiano e Capo del Governo.
Un pomeriggio, l’amico suddetto, dopo aver preso appuntamento, lo accompagnò alla residenza di Prencipe. Il fisarmonicista, sapendoli compaesani, li accolse con grande calore e simpatia. Si intrattennero per più di un’ora. Salvatore gli parlò delle sue iniziative canore e discografiche, Ottavio delle sue necessità di trovare un lavoro stabile per auto mantenersi agli studi e l’altro dei suoi freschi successi ottenuti in tutto il mondo, mostrando loro nel contempo con orgoglio le varie coppe, trofei e menzioni speciali conquistati in ogni dove, compreso il riconoscimento della “fisarmonica d’oro”, gelosamente custodite ed allineate nel suo studio – laboratorio. Al termine li salutò con affetto, abbracciandoli, e andarono via con il cuore in gola, orgogliosi di aver conosciuto il grande uomo.
Con Mario, il francese, Ottavio era un’anima e un corpo solo. Così il secondo si accompagnava con lui riunioni dopo riunioni presso i vari sodalizi, vicini alla sua formazione politica. Fu lì che combinarono la sua partecipazione al primo concorso pubblico della SIP, l’azienda telefonica di Stato. Dopo aver superato gli scritti (non ricorda il tema) Ottavio fu ammesso all’orale che pure superò brillantemente, nonostante la sua pronuncia marcatamente meridionale. Allora la discriminazione tra nordisti e terroni era alquanto accentuata. Di lì a pochi giorni fu convocato alla visita medica, quella che solitamente precede l’assunzione. Il ricordo di essa ce l’ha ancora vivo nella memoria. E questo perché per la prima volta il giovane fu visitato da una medica.
Erano le 15,00 di pomeriggio. La sanitaria, piuttosto ossuta e magra, con un viso dai lineamenti di tipo maschile piuttosto accentuati su cui spuntavano due occhi neri vivi ed intelligenti, lo fece accomodare seminudo con un pezzo solo sul lettino. E cominciò la visita, partendo dall’alto. Gli guardò attentamente i globuli degli occhi. Quindi, lo fece tirare fuori la lingua. Sentì il respiro con uno stetoscopio. Passò poi agli arti superiori e con una sorta di martelletto in ferro batté varie parti, come se volesse accertare di qualche eventuale frattura. Poi passò al ventre e lo fece tossire più volte. Ottavio, per la vergogna, era diventato rosso, come un peperone. Infine, affrontò gli arti inferiori, ripetendo passo dopo passo quanto aveva già saggiato in precedenza su braccia e mani. Al termine, si congratulò con lui, dicendogli: “Stai bene, non ho riscontrato alcunché!”. E lo congedò, accompagnandolo all’uscio. Non aveva infermieri.
Qualche giorno dopo pervenne il telegramma di assunzione. Nessuno lo informò che da quel momento c’erano appena trenta giorni per dare il proprio assenso. Dopo di che il diritto sarebbe saltato e passato al successivo nominativo presente nella graduatoria. Infatti, ritornato giù per moti di studio, Ottavio si trattenne per più settimane. Impegnato com’era nei suoi nuovi amori, dimenticò completamente delle anzidette scadenze.
Perse così la sua prima occasione di lavoro stabile nel pubblico impiego. Avrebbe avuto un posto di riguardo nell’amministrazione, per aver concorso da diplomato e chissà poi avrebbe fatto il salto alle più alte cariche, una volta laureato. Un traguardo, quest’ultimo, che avrebbe raggiunto con facilità, sospinto, appunto, dall’ambizione di carriera. A lui piaceva assai fare il giornalista. E questo per via della sua predisposizione fin da piccolo verso la nobile arte dello scrivere e dell’inventare. Scoprì questa vocazione, quando frequentava le medie. Durante i compiti in classe d’Italiano, riusciva a scrivere, senza sforzo alcuno, minimo otto facciate. Una volta addirittura dieci. Di recente, si era fatto avanti, collaborando con i suoi scritti di cronaca a degli autorevoli periodici. L’occasione qui capitò per caso.
Fece amicizia con un esponente socialista che lo introdusse presso un certo Colombo, giornalista a quel tempo impegnato a dirigere un giornale di quartiere. E ciò in sintonia con la nascita delle amministrazioni elettive di quartiere, appunto. Il direttore, accortosi che avevo stoffa, lo mandò subito a caccia di notizie di cronaca. Dalla mattina alla sera, Ottavio passava in rassegna le principali arterie del quartiere, annotando ad uno ad uno i fatti salienti che vedeva o che gli apparivano tali Il suo fiuto non si sbagliava mai. Così che al termine della giornata consegnava alla redazione il suo articolo, fresco di giornata, come le uova di una gallina.
Il direttore della testata leggeva e condivideva dall’A alla Zeta tutto ciò che il giovane gli sottoponeva. La redazione si trovava al secondo piano di uno stabile, in via Vitruvio, a quel tempo messa sottosopra, come pure larga parte dell’area antistante la Stazione, per la costruzione della metropolitana.
Qui, oltre al redattore – direttore, c’era una collaboratrice, che fungeva da giornalista – segretaria. Si chiamava Cinzia. Poco più che sedicenne, divideva il suo lavoro con lo studio. A primo acchito tra il nuovo assunto e lei nacque una reciproca simpatia. Simpatia che crebbe con la frequenza e soprattutto quando leggeva in anteprima i suoi articoli, sino a trasformarsi in qualcosa in più. Una volta, la trovò sola con lapis e taccuino in mano, pronta a fissare non solo i numeri di telefono, ma anche i propri ed altrui pensieri.
Il nuovo arrivato la salutò ed abbracciò. Ricambiò con slancio, abbandonandosi languidamente tra le braccia. Stettero così per alcuni minuti. Quindi, incoraggiato, Ottavio la baciò sulle guance infuocate, mentre le toccava i fianchi con voluttà. Passarono, poi, ai baci più o meno profondi e a fare petting. Smisero solo dopo una mezz’oretta, allorché strillò il campanello della porta. Allora, lei riassettatasi alla meglio, andò speditamente ad aprire la porta. Era, il principale. Da quel giorno i due si rividero sempre alla stessa ora e l’avventura si trasformò presto in amore, facendogli dimenticare immediatamente la Mandragola, verso la quale negli anni futuri non proverà che semplici ed innocui sentimenti di amicizia.
È con il cuore gonfio che, qualche tempo dopo, lasciò la metropoli e tornò a Sud. Il pensiero di lei lo perseguiterà per lungo tempo. Forse perché è l’unica della sua vita che, oltre a dargli calore e sentimento, lo ha compreso anche nell’intelletto. In paese vi resterà per sempre, avendo perso del tutto la voglia e il coraggio di affrontare il nuovo. E questo, dopo aver sciupato, per sua massima colpa, l’occasione d’oro di essere assunto alla Sip. (AntDV)