Leonardo Sciascia e San Marco in Lamis
A trent’anni dalla morte, il 20 novembre scorso, la TGR Puglia ha ricordato Leonardo Sciascia con una intervista al prof. Antonio Motta ed un servizio sul Centro Documentazione, dedicato alla scrittore di Racalmuto, tenacemente voluto e creato dal nostro concittadino.
INTERVISTA AD ANTONIO MOTTA
Ma il legame della nostra cittadina con Leonardo Sciascia risale, quantomeno nell’ufficialità, al 1986, quando venne, insieme alla moglie, a ritirare il premio “Fermi”, istituito dal Liceo Scientifico.
Se non ricordo male, però, qualche anno prima, tramite sempre il prof. Motta, lo scrittore rilasciò un’intervista pubblicata su un “ciclostilato” dell’ARCI di San Marco, mentre, nel 1985, aveva scritto la prefazione al diario di Tommaso La Cecilia, “A caccia di briganti in terra di Puglia”, curato da Tommaso Nardella.
Agli inizi del 1990, poi, a pochi giorni dalla sua scomparsa, il giornale Qualesammarco gli dedicò un inserto di quattro pagine, che riporta integralmente, tra l’altro, il dibattito scaturito nell’incontro organizzato con gli studenti del liceo e con la cittadinanza.
In quell’occasione, furono affrontati molti dei temi che hanno appassionato Leonardo Sciascia: Manzoni, Green, la fede e la Chiesa, Majorana e l’atomica, Dante, Pirandello, Montaigne, Voltaire e la ragione, letteratura e passione civile, la mafia, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, l’impegno dello scrittore ed i partiti politici, l’Inquisizione e la giustizia, scetticismo e pessimismo, ecc.
Oltre che per rendere omaggio ad uno dei maggiori scrittori del Novecento, che ci ha concesso l’onore di accettare e ritirare di persona il premio del nostro istituto scolastico (da quel che mi risulta, non ha mai ritirato altri premi se non questo e quello del produttore di grappa Nonino), credo sia utile mettere a disposizione di tutti quel dibattito (vedi allegato), soprattutto perché le risposte, alle domande sui temi che si diceva sopra, sono state date con grande efficacia comunicativa (che spesso manca in critici ed interpreti paludati del pensiero e dell’opera altrui) perché consapevole, evidentemente, di rivolgersi a studenti, ai quali voleva trasmettere l’entusiasmo per la lettura e la cultura.
Ed a proposito dello sforzo di chiarezza profuso, e soprattutto “dell’ansia dell’umano”, della modestia ed umiltà di questo grande intellettuale, che io ho sperimentato anche in altre occasioni, ricordo che, al termine della manifestazione, la prima cosa che disse a me e ad Antonio Motta è stata: “Come sono andato? Non sono un gran parlatore”.
Giuseppe Soccio