Rignano, anche quest’anno ritorna in auge il “Presepio fai da te”
Oltre al Presepe Vivente, ormai prossimo ad andare in scena, torna di nuovo alla ribalta il “Presepe fai da te”, a Rignano Garganico.
Il tutto a cominciare dalla Chiesa Matrice di fattura rinascimentale, ma di origine romanica, dove è stato allestito un bellissimo e completo presepio, fortemente voluto dal giovane ed attivo parroco, don Santino Di Biase che dopo una ‘passaparola’ è riuscito da subito a raccogliere attorno a sé un gruppo di volontari, che in poco tempo è riuscito a mettere su un bellissima messa in scena, utilizzando tutto l’armamentario necessario, compreso l’addobbo, accumulatosi nel corso degli anni e ben conservato, ad eccezione del muschio, che qui si chiama ‘lippo’ raccolto nelle vicine campagne.
Nella scia si sono inseriti anche gli appassionati cittadini mettendo su ognuno un presepio casalingo di variegata estensione e composizione. Un tempo la realizzazione dei esso era una pratica assai in voga nel paese. Ora non più o forse più raramente, per via dell’avvento del Presepe Vivente e della tecnologia più sofisticata. Ecco il racconto che ci fanno Matteo e Tonino, figli della guerra e della miseria di quei tristi tempi, i quali, nonostante le privazioni e i padri lontani, riuscivano a vivere e a sognare il loro Presepe. Un Presepe allestito con cura dalle loro mamme con l’aiuto dello stradario (i vicini di casa).
Tutto si consumava in un mono locale, come erano tutte le abitazioni di quel tempo, ubicato in Via Montarone, dove c’era di tutto, persino la gabbia per le galline, il cane, il gatto o entrambi. “Ci si procurava in anticipo delle frasche verdi, tipo leccio, più raramente l’ulivo. Qualche volta anche un robusto ramo che faceva da albero e si adornava la sponda di un tavolo o “buffetta”. Vi si appendevano molte specie di frutta, arance, mandarini, frutta secche, anche noci, melacotogne, ecc. Poi su quel piano, dopo averlo interamente coperto di muschio (“lippo”) si costruiva la grotta con un pezzo di tronco cavo di albero; quindi si disponevano nelle parti laterali le casette di cartone pressato o di legno compensato. Sullo sfondo si stendeva un foglio di carta azzurra, che significava il cielo. Quindi, si mettevano i pastori con il gregge; il fabbro con la fornace; il falegname; il contadino con la zappa; la lavandaia; animali di varie specie; lo specchio (quello vero) d’acqua con sopra delle oche; galli e galline da cortile, ecc.
Nella grotta, ovviamente, si mettevano i protagonisti: San Giuseppe, la Madonna, il Bambino nella culla, il bue e l’asinello. In un angolo c’era la persona che ammassava il pane, si costruivano quelle tavolette che si faceva il pane. C’era la nonna che accendeva il fuoco. Si facevano quelle piccole scamorze e si mettevano appese ad una verga orizzontale dove c’era l’ovile degli animali. Si mettevano lì per farle asciugare. Si faceva, poi, la stella di cartone. Si prendeva la carta delle caramelle, colorata, e si metteva da una parte e dall’altra. Si metteva Santa Anastasìa. Aveva le braccia senza mani. Quando è arrivata la nascita del Bambino è uscito San Giuseppe ed è andato dai pastori a chiedere un po’ di fuoco, di brace, perché era nato il bambino e stava in una piccola grotta. A San Giuseppe e alla Madonna non li vollero ricevere nessuno. San Giuseppe aveva un mantello marrone. Disse il pastore che stava nella grotta (prima i pastori stavano nelle grotte): E’ dove te lo dobbiamo mettere il fuoco?”. San Giuseppe si alzò un angolo del mantello e disse di metterlo lì. I pastori obiettarono: “Ma quello si brucia!”, “Non fa niente – rispose San Giuseppe – importante è che porto il fuoco!”. E portò il fuoco lì. Disse: “Vedete che è nato il piccolo creatore!”.
La moglie di quel pastore ha dato voce subito che era nato il Bambino chè si sapeva che doveva nascere: allora tutti correvano dal Bambinello. E lei Santa Anastasìa disse: E io non ci dovevo andare?”. Se ne andò con tutti i moncherini sporchi di pasta. Quando arrivò lì, mentre si muovevano, vedevano e facevano, si ritrovò con le mani. Ebbe la grazia di “ricevere le mani”.
Ora Matteo, ormai ottantenne, preso dalla proverbiale onda dei ricordi ne ha ricostruito uno pari pari che sta attirando visitatori da ogni parte, a cominciare dal suo caro cugino Tonino, di qualche anno meno di lui. Quale è la molla che ti ha spinto a farlo. “Non solo il ricordo dell’infanzia, ma la voglia di stupire le persone che mi circondano”. Insomma è un modo come un altro per sconfiggere la brutta bestia che è la solitudine. (AntDV)