Una foto, una storia: i calendarietti del barbiere
Il giorno del rito era il sabato. Come quando di domenica si va a messa. Ogni giorno aveva un odore diverso. Quello del sabato aveva l’essenza di un salone di barbiere. Bisognava aspettare il proprio turno, magari leggendo giornali e riviste come “Cronaca Vera”, oppure qualche fotoromanzo donato dalla moglie del barbiere da lasciare nel suo locale
Di solito c’era gente, e si aspettava pazientemente il proprio turno, mentre si guardava il barbiere pulire il rasoio con le schedine del Totocalcio di qualche settimana prima. Si usava così, si puliva il rasoio dopo la passata sul viso dei clienti, lasciando scivolare la lama sul giallo delle schedine del Totocalcio.
Come sottofondo una radio che quasi inconsapevolmente funzionava, ma quasi nessuno le dava retta. Era lì, come dire che fuori da quel locale c’era comunque vita. Oltre alle chiacchiere degli uomini da rasare, c’era anche la “voce ufficiale della vita”, da dove giungevano gli echi del mondo.
Ma quello che veniva detto nei saloni dei barbieri, era una “verità alternativa” che nessun mass media poteva divulgare. Dal barbiere nulla scappava: si sapeva tutto, anche gli editoriali che non avevano spazio sui giornali autorevoli, venivano divulgati in quei saloni. L’attesa veniva ingannata parlando di tutto ciò che la radio non poteva dire, poichè non lo sapeva.
Lo specchio prendeva in larghezza tutto il muro, dove ci si sedeva di fronte per vedere se dal lavoro fatto dal professionista, usciva “gente nuova”. Come se si uscisse da quel salone desiderando che da quel momento qualcosa potesse cambiare nella nostra vita. Ad ogni taglio di capelli o di barba era come se a fine lavoro, fosse sempre il primo dell’anno!
E prima di uscire da quel locale, c’era il saluto. Non solo fatto con un arrivederci o una stretta di mano. Ma c’era un saluto profumato: il calendarietto. Con la cordicina che fungeva da segnalibro. Era di una bellezza e discrezione che difficilmente si può riproporre. E poi, il profumo, quello non lo si sente più da nessuna parte. Era come se uscisse da quelle paginette. Era un profumo che penetrava le immagini e i giorni dell’anno stampati lì sopra. Tra teste di eroi del passato e corpi di donne quasi diafane.
Gli argomenti ritratti su questi calendarietti erano centinaia: si andava dalle opere liriche alle opere d’arte di Raffaello e colleghi vari, da modelle di qualche decennio prima alle dive americane sdraiate sulla bandiera a stelle e strisce, dalle storie da “Le mille e una notte” a quelle del Decamerone di Boccaccio, dai velieri che solcavano il mare, agli alpini che tirano su sulle montagne dei muli. E rappresentano documenti preziosi anche dal punto di vista della storia della grafica.
Raccontavano la vita, profumandola sempre con essenze mai troppo dure da far girare la testa. Ma come se quel profumo fosse una colonna sonora di quello che si stava guardando in quel momento su quelle paginette. La cordicina che era appesa, era anch’essa profumata e forse il profumo che rimaneva per un po’ di tempo proveniva soprattutto da quel segnalibro in miniatura.
Lo si portava a casa e lo si faceva vedere al resto della famiglia, come se fosse un testimone di come fossimo effettivamente stati dal barbiere e non da un’altra parte. Veniva messo sul tavolo e rimaneva per qualche giorno. Poi lo si prendeva e lo conservava in qualche tiretto. E ogni volta che quel tiretto veniva aperto, un po’ di odore si sentiva ancora. Anche se i giorni passavano.
Erano giorni profumati non solo da quegli odori stampati nella carta di quei piccoli calendari. Ma erano giorni profumati anche dal tempo che passa. Gli odori di una volta rimangono sempre da qualche parte. E se per caso venisse ritrovato un calendario del barbiere in qualche soffitta, sono sicuro che si sentirebbe ancora qualche fragranza, insieme ai commenti dei ragazzi che in quei giorni aspettavano il loro turno per tagliarsi i capelli e ricevere prima di uscire, un calendarietto così.
Da portare a casa e donarlo ai componenti della famiglia, come una carezza. Come dire: ci aspettano nuovi giorni. Grazie a dio.
Mario Ciro CIAVARELLA AURELIO