Batteristi e percussionisti a San Marco in Lamis
Breve e doveroso excursus nel mondo rumoroso dei batteristi sammarchesi
di Luigi Ciavarella
Non posso che cominciare da lui, da Matteo Napolitano, (anche se il primo in assoluto fu Francesco “Cecchino” Russo, storico batterista di Tonino Lombardozzi) il celeberrimo batterista dei Mods o Modernissimi (ma tra i due termini vi è comunque una sostanziale incongruenza che all’epoca non è venne notata), per dare corso al censimento dei batteristi e dei percussionisti che hanno operato, o lo stanno tuttora facendo, all’interno di un gruppo. L’idea di indicare i tanti musicisti distintisi nel corso degli anni in questa lodevole disciplina, mi ha portato a indagare, facendo ricorso alla mia memoria, in un ambiente in cui un tempo il ruolo del batterista non godeva di particolare attenzione. Da sempre considerato secondario se non addirittura superfluo, il batterista invece è una figura preminente nel suono di un gruppo. Un errore che il tempo ha giustamente corretto.
La batteria di Matteo Napolitano era, nella forma, poco più di un giocattolo. A guardarla nelle foto d’epoca, oltre a provare una certa tenerezza, si nota subito questa curiosità. Ma vi era un motivo logico alla base, funzionale agli spazi angusti in cui la formazione era tenuta a suonare. In genere le feste di nozze, in quei tempi, avvenivano in abitazioni che diventava all’occorrenza, dopo lo svolgimento del pranzo nuziale, anche sala danzante. Poiché lo spazio era limitato, al termine del pranzo nuziale, si sgombravano i tavoli e si creava una pista da ballo. Una batteria più grande, capite bene, avrebbe avuto evidenti problemi di spazio. Matteo, a differenza degli altri, che continuarono a prestare la loro opera in altre bande, all’indomani della scissione dei Protheus cessò di suonare in un gruppo stabile. Proprio quando le nuove formazioni in paese stanno voltando le spalle a quel mondo di suoni naif costituiti intorno ai balli tradizionali (mazurche, tarantelle, tanghi ma anche canzoni melodiche) a vantaggio di un suono sempre più fresco e moderno.
Il primo pensiero corre ai batteristi storici del primo periodo beat, a coloro i quali, a partire dalla metà dei sessanta, imposero una moda “rubando” ritmi sincopati e terzine romantiche per slow da mattonella alle canzoni di successo del momento che tutti canticchiavano in locali dancing di paese e affini a beneficio delle coppie che, sull’onda di quelle melodie straripanti, si innamorarono. Penso dunque a tutti quei percussionisti che, con passione, coraggio e dignità, riuscirono ad emergere da una condizione di subalternità grazie al loro impegno costante che voleva dire non soltanto tecnica ed energia ma anche stile e metodo, in un contesto in cui il valore del batterista determinava la qualità di un gruppo. Quindi i nomi: Michele Martino dei Draghi (mitica ed effimera formazione dei ’60 guidata da Antonio Coco), Leonardo Pignatelli dei Rubacuori, Pasquale de Sol delle Pietre Azzurre, Giovanni Fulgaro dei Birds, Mario Masullo degli Atomium (e successivamente in tante altre formazioni), Alfonso Patrono dei Wolves (nativo però di San Severo), senza dimenticare Matteo Filogonio che militò, nella metà dei sessanta, in un gruppo elvetico (Black Panthers), oltre ad un insospettabile Luigi La Sala, più noto però come uomo delle Istituzioni. Sono tutti nomi che in qualche modo fanno da cerniera tra due decenni durante uno dei passaggi generazionali più importanti per questo genere di argomenti.
Nei settanta abbiamo avuto Tiziano Paragone, oggi indirizzato verso sonorità più complesse, che partì da Il Mosaico, la formazione progressiva di Paolo Pinto, suonando anche nei Motu Propriu, con Teo Ciavarella, Le Ombre, etc.; Aldo Pirro, protagonista nei Fly, l’indimenticabile Luigi Tantaro, Angelo Tenace dei Roll’s 70, Stefano Canzio nei Delfini, poi Patrizio Del Mastro, Nicola Tenace, che cominciò nei ’70 con I Riflessi del Sole per approdare ai Revival di Michele Fulgaro, dove attualmente dimora. Aggiungerei anche un Raffaele Nardella, indispensabile percussionista nei Festa Farina e Folk.
A partire dagli anni ottanta la varietà dei batteristi si moltiplica, i suoni diventano rock e le influenze si sprecano. Fare una cernita d’ora in poi diventa sempre più complesso. Tuttavia alcuni nomi si fanno valere per la loro versatilità a cominciare da Luigi De Sol, figlio d’arte, dotato di un drumming molto personale (suona nella band di Ciro Iannacone dopo aver militato nei Virtuals, Zero 33, etc.); seguono il creativo Pasquale Villani della Pattuglia Cosmica, Antonio Ruggieri dei Monoreddito, Giuseppe Petruccelli dei Faberi (ma anche eccellente compositore di rock alternativo), Michele Potenza, Graziano Villani, Francesco Giuliani e Tommaso Pio Bevilacqua, che provengono tutti da formazione rock, e infine Enzo Donatacci della band di Maurizio Tancredi. Sono tutti nomi di spicco della nuova scena musicale del paese, i nuovi protagonisti che danno ritmo e testimonianza, nel segno della continuità, alla grande varietà di stili che agitano il nostro fondovalle.
Altri, tra batteristi e percussionisti vari, si stanno affacciando alla ribalta, alcuni dei quali visti durante i vari happening promossi dalla scuola di musica “Santa Cecilia”, altri ancora probabilmente ne abbiamo dimenticato. Ma avremo altro tempo per riparlarne o magari per correggere o aggiungere quanto abbiamo finora scritto, senza avere mai la pretesa di essere leziosi.