di Enza GAGLIARDI (www.luceraweb.eu)
“Con tutte le persone che sono scese, tra quelle che si sono dichiarate e quelle che non lo hanno fatto, c’è sicuramente qualcuno positivo al Coronavirus, magari ancora asintomatico, e avrà già contagiato qualche familiare, che a sua volta sta andando in giro tranquillamente, inconsapevole di essere un portatore del Covid-19. Ma è solo questione di tempo…”.
Parole durissime queste che arrivano a Lucera da un pronto soccorso della Romagna. Federica (nome di fantasia) è un’infermiera lucerina in trincea dal 23 febbbraio. Non esistono più i turni. Magari fa 6, 8, 10 ore di fila, poi però c’è da coprire sempre anche la notte, “perché in guerra non ci si può fermare”.
Federica non ha il tempo di seguire i social o le cronache locali, ma ha saputo lo stesso dei tanti suoi concittadini disobbedienti che continuano ad andare a zonzo, singoli o interi nuclei familiari, nonostante i severi divieti, ed è rimasta letteralmente scioccata.
“Noi siamo allo stremo delle forze e mi fa rabbia, tanta rabbia, apprendere di gente che ancora non ha capito con che cosa avrà a che fare. Com’è possibile che ci sia ancora qualcuno che asserisce che si stratta di un’influenza e che muoiono solo gli anziani? Non è vero: muoiono anche i giovani, perché questo virus non fa distinzione”, riferisce a Luceraweb che l’ha intervistata.
Com’è cominciata nella vostra zona rossa?
Guardi, da ciò che abbiamo ricostruito, una persona proveniente da Lodi è stata in un ristorante dei dintorni. Si è innescato un contagio talmente veloce da averci portato a questa situazione di maxi emergenza sanitaria, perché tale è. Tutto da una sola persona.
A quanti accessi giornalieri siete arrivati?
Siamo sui 50 casi al giorno, di cui, sottolineo, 5 o 6 sono giovani in salute. E, mi creda, è proprio l’ammalarsi dei giovani che ci sta abbattendo moralmente, più dello stress fisico e mentale a cui siamo sottoposti da settimane.
Nel frattempo, molti qui al Sud continuano a non voler cambiare le proprie abitudini quotidiane. Secondo lei, da cosa deriva questa scarsa percezione del pericolo?
Mi sono posta la stessa domanda. Ho immaginato che mentre noi eravamo in guerra i media minimizzassero o non dessero informazioni complete. Così una sera, nonostante fossi distrutta, ho acceso la tv (che è l’ultima cosa che vorrei fare, perché quelle cose io le vivo da tre settimane) e ho guardato tanti pezzi di programmi di informazione e i tg. Ebbene, spiegano tutto. Dicono le cose come stanno. Deduco che siamo noi che non vogliamo capire. Ci illudiamo che passerà da solo? Dove abito io le strade sono deserte in pieno giorno. Non capisco come da altre parti si possa ancora pensare di uscire di casa.
Pensa che questa superficialità e irresponsabilità sia dovuta anche al fatto che i media non mostrino, tranne in rarissime eccezioni, immagini dei reparti di rianimazione?
Sì, ne sono convinta. I giornalisti si fermano davanti alle tende del triage e la gente non vede ciò che vediamo noi. Sembra brutale a dirsi, ma è un virus talmente contagioso che non ho problemi ad avvertire i miei concittadini che, se non si sta a casa, si finisce col tubo in bocca.
Noi qui siamo arrivati ad una situazione tale di contagio che ormai probabilmente siamo tutti dei portatori sani. Ricoveriamo solo i casi di Coronavirus, non si presenta quasi più nessuno per altre patologie o cose minori. Ormai non facciamo nemmeno più i tamponi, prendiamo in considerazione direttamente la sintomatologia. Significa che prendiamo solo quelli con problemi respiratori, ma se hai solo la febbre te ne stai a casa.
Ha paura? E come si fa a rimanere lucidi?
Sì, ho paura. Dopo tanti giorni, una notte mi sono svegliata e ho cominciato a piangere. La mattina ho chiamato un’amica lucerina che sta a Milano e mi sono sfogata con lei. È ciò che mi sono potuta permettere, perché non c’è nemmeno il tempo di avere paura.
Due giorni fa è arrivato personale di supporto: ho colleghi che si sono ammalati, alcuni con gravi sintomi, e altri che si stanno ammalando. Io stessa potrei essere positiva. Farò il tampone come gli altri. Non vado al supermercato: mi faccio portare la spesa a casa fin dall’inizio.
Lo sa che invece qui c’è chi si pone ancora il problema del fare jogging, del mercato settimanale o dell’estetista?
È pazzesco! Forse se ve lo spiego meglio capite: le persone che portiamo in reparto non possono avere più contatti con i parenti. Ci sono persone che sono entrate e sono morte senza vedere più nessuno dei propri cari. Si muore da soli. Questo virus ammazza in maniera cattiva.
Come resistete?
Qui si dice: “tìn bôta”, che significa “tieni duro, non mollare”. E noi non molliamo. Guardandomi allo specchio dopo 12 ore di lavoro, incrociando gli occhi stanchi dei miei colleghi, quelli dei medici, scoprendo che come pazienti hai i tuoi stessi colleghi, dico: teniamo botta, ragazzi! Non molliamo! Non ora. Ringrazio tutti, perché stiamo dimostrando il meglio nel peggio.
Cosa ha pensato quando ha saputo delle migliaia di persone che sono fuggite dal Nord?
Non le giudico, però mi è montata la rabbia e mi sono detta: “Ma come, noi siamo qua a combattere, abbiamo rinunciato a tutto, alle nostre ferie, e questi scappano e rischiano di contagiare il Sud, che ancora aveva speranza di rimanere protetto?”. Io avrei potuto approfittare delle ferie per scendere e riabbracciare i miei genitori, che abitano a Lucera, e invece sono rimasta. Ripeto: non voglio giudicare nessuno, forse la paura non li ha fatti ragionare con lucidità.
Avremmo dovuto approfittare maggiormente del vantaggio che avevamo rispetto a voi?
Decisamente.
Vuole aggiungere qualcosa?
Sì, in questo momento come Paese stiamo perdendo tanto a livello economico e spendendo tantissimo a livello sanitario, ma è in termini di vite umane che stiamo pagando il prezzo più alto. Mi auguro che la sanità della mia terra sappia fronteggiare questa emergenza. Infine, mi consenta di dire: oggi noi infermieri e medici siamo osannati, speriamo che quando questa emergenza sarà finita nessuno si permetta più di aggredirci e insultarci nei pronto soccorso o nelle corsie.