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“Idi di marzo, disfatta piena per medici e infermieri!”

di Antonio DEL VECCHIO

Coronavirus: la poesia appenna abbozzata di Michele Totta, poeta e scrittore del Gargano, colpisce ed emoziona, come non mai, andando direttamente al cuore. E questo nonostante la brevità ed incompletezza di essa. Ma forse ci distoglie anche la ripetitività del tema, da tempo trattato e sviscerato in tutte le salse e linguaggi: dai social alle TV ai dibattiti più o meno accesi; dai monoloqui, su Facebook o Instagram, agli interventi quotidiani degli esperti e della Protezione Civile; agli slogans pubblicitari; e, per finire, alle puntuali conferenze stampa a reti unificate; nonché alla didattica e alla spettacolarizzazione a distanza.

Il poeta, questa volta, per esprimere al meglio ciò che gli bolle dentro, si rifà alla storia, a quella romana in particolare, soffermandosi sulle famose “Idi di Marzo”, che ne costituisce il titolo e la sostanza di questa inedita materia creativa. Infatti, come per le “Ide” corrispondenti in calendario al 15 marzo del 44 a.c., che segnarono la morte di Cesare per mano dei congiurati, tra l’altro Bruto, che amava come un figlio, facendogli esclamare, morente, la storica frase Tu quoque, Brute, fili mi («anche tu, Bruto, figlio mio»). Così accade anche per il CoVid-19 odierno che ha messo in ginocchio l’Italia e, in particolare, la Lombardia, facendo migliaia e migliaia di vittime, comprese quelle di decine e decine di operatori sanitari, impegnati a combattere in prima linea.

A tutto questo si aggiungano, altresì, centinaia e centinaia di anziani e disabili innocenti, reclusi all’interno delle case di riposo. Una strage ‘silenziosa’, quest’ultima, che è sotto gli occhi di tutti. Occhi che assistono, attoniti ed impotenti, di fronte a tanti caduti, ammassati nei convogli militari e fatti sfilare sul grande scherma, come se fosse un film dell’Horror, per essere poi bruciati o sepolti ignudi, senza lo sguardo amico di un parente, con la funzione funebre ridotta al minimo, talvolta alla sola benedizione. Sono “Ide” da ricordare, alla pari di quelle storiche sopra citate. E questo perché a perire, sicuramente con il medesimo coraggio ed eroismo dei centurioni e soldati della prima linea di Cesare, sono decine e decine di medici ed  infermieri, novelli eroi del 21 esimo secolo.

Da qui l’ispirazione del poeta e la stesura del testo che riportiamo di seguito: “Le idi di marzo 2020 raccontano una disfatta piena; / ma l’eroismo di medici e infermieri va posto nell’urna / d’oro della storia. Fa memoria riverente la poesia, uno / a ino benedice i cari morti, giovani adulti anziani, /mentre la televisione consegna carri militari in sfilate / meste ordinati su un binario, in spazi crudamente / spogliati d’orgni civile rumore; faticano le pupille a trovare / un fiore, il compianto, il prete che officia la liturgia. / Se non case, il core invoca almeno un tempo migliore>”.

L’anzidetto scritto, a quanto appreso, sarà presto sistemato sul piano metrico ed espressivo e semmai allungato per essere destinato alle giovani generazioni, convincendoli da subito che a guidare la vita del uomo non sono i fugaci piaceri del consumismo, ma i valori dello spirito e dell’amore.

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