di Sacha De Giovanni
Quante volte abbiamo chiesto ad un sindaco di adoperarsi per migliorare l’arredo urbano del paesello? E quante volte ancora ci siamo lamentati perché non riusciva a montare dei cavoli di dissuasori della velocità, o semplicemente a tinteggiare l’asfalto con la segnaletica orizzontale o, ancora, ad abbattere le barriere architettoniche? E quegli autobus al capolinea, senza le banchine per la sicurezza nella salita e nella discesa dei passeggeri? Tutto questo finalmente è realtà… almeno a San Marco in Lamis.
Eppure non c’è quarantena che tenga per il virus dello sfascismo. Quella strana e malsana abitudine di provare a distruggere ogni cosa, proporzonale allo sforzo profuso per compierla: più è stato difficile realizzarla, più si deve gettare fango e discredito sull’autore. Per citare una frase di Paul Valery: “Quando non si può attaccare il ragionamento si attacca il ragionatore”.
Qualcuno obietterà, sulla scia dell’onda epidemica sfascista, che si tratta di cose ordinarie, nulla di eccezionale. Ad ogni modo, per creare queste condizioni di normalità qualcuno ha dovuto traghettare la nave fuori dalle acque del dissesto finanziario, intercettare fondi e finanziamenti per realizzare le opere, rimettere in moto la complicata macchina amministrativa comunale. Certamente altro ancora c’è da fare e da migliorare.
Ma non si può sparare a zero – sempre e comunque – contro un sindaco che fa il suo mestiere, simpatico o antipatico che sia, contro i suoi collaboratori, spergiurando persino contro il proprio paese.
Questo virus contagia molti e miete soprattutto vittime tra la gente in malafede, tra i cercatori d’oro e i personaggi in cerca d’autore. Non serve aspettare un vaccino tra uno, due o forse dieci anni. È già disponibile. Si chiama onestà intellettuale.