Fisarmonicisti, pianisti e tastieristi a San Marco in Lamis
Nomi e personaggi che hanno costituito la parte più colta e creativa nella storia musicale del paese
di Luigi Ciavarella
Riunire in unica voce quel drappello piuttosto agguerrito di musicisti dediti alle tastiere significa perlomeno sottolineare una categoria che ha saputo esprimere in totale libertà ogni varietà di suono, con stile e indirizzi differenti, in un ambiente tutto sommato abbastanza recettivo.
Tra tutte le voci finora elencate va da sé che quella dei tastieristi (ed affini) è la più raffinata (e colta), se non altro perché molti provengono dal conservatorio (e altri tipi di scuola) e possiedono per questo un bagaglio culturale notevole che consente loro di invadere più generi. Naturalmente altri sono stati autodidatti ma ciò non toglie nulla alla sostanza della nostra ricerca.
Dal pop al rock, dal jazz alla classica i virtuosi delle tastiere di ieri e di oggi del nostro paese si sono distinti in vario modo. Alcuni hanno fatto la loro fortuna fuori paese, in luoghi più idonei all’accoglienza mentre la maggior parte di essi si è espressa qui senza per questo sminuire il loro valore. Alcuni nomi (esempio per tutti Michelangelo Martino), pur essendo dei validi pianisti si è preferito collocarli in altri ruoli più consoni al loro prestigio (come d’altronde anche Claudio Bonfitto – che peraltro suona il clarinetto – o Luigi La Porta, i quali sono principalmente Direttori d’Orchestra e vanno quindi trattati in altri ambiti).
L’obiettivo è quello di soffermarsi sui personaggi storici di cui abbiamo memoria, che hanno saputo allietare con le loro fisarmoniche o le loro semplici pianole gli spettacoli di paese tra i sessanta e settanta, decenni formidabili in cui lo spirito della musica leggera ha prevalso su tutto, mettendo in sordina ogni altra forma musicale che non fosse quella derivante dalla moda del momento, a cui tutti o quasi si sono adeguati. Il suono della Farfisa, esportato dall’Italia in tutto il mondo, è stato uno dei principali incentivi alla nascita dei gruppi beat, formatosi su coordinate precise salvo poi dilagare nei settanta, cambiata la scena, per attestarsi su posizioni più progessive, assumendo così un ruolo dominante.
Poi sono sopraggiunti i cosiddetti suoni liquidi, elettronici, sintetizzatori e campionature di varia natura dove il tutto è apparso più semplice, creativo e stimolante, a patto di possedere conoscenze non soltanto musicali ma avere anche nozioni di elettronica.
Riguardo i fisarmonicisti il percorso è stato più lineare. Nella sua (apparente) semplicità la fisarmonica non ha subito grandi trasformazioni e quasi tutti i musicisti del posto sono stati dei virtuosi dello strumento, vuoi perché quel suono era adattabile a molte circostanze e perché, ad un certo punto, seppure in minor misura, di quel suono si è servito anche la musica pop/rock dai settanta in poi per i suoi programmi di contaminazione. Ma qui da noi essa rimane legata sopratutto alla tradizione dei ricevimenti nuziali, alle serenate al chiaro di luna, alle banchettate di campagna tra amici ma anche alla esecuzione dei canti popolari (memorabili gli interventi di Tonino Lombardozzi in tal senso) in cui il tutto contribuiva a trasmettere con semplicità e calore una amicizia condivisa. Un passato non troppo lontano in cui la nostra San Marco, come nella Parigi dei Boulevards del dopoguerra, si riconosceva attraverso quei suoni armoniosi di fisarmonica.
Se guardiamo al rock locale dagli ottanta in poi la tastiera occupa poco spazio, anzi quasi per niente. I giovani per le loro creative esperienze rock preferiscono le chitarre elettriche come d’altronde vuole la regola. Le tastiere sono relegate al revival o al limite al nuovo pop nascente dove prevale il discorso che una buona tastiera/sintetizzatore può sostituire un’orchestra intera. Ed ecco apparire le tastiere Roland (ma anche di altre marche) che, con tutte le varianti del caso, offrono solide garanzie a chi intende dare sfogo alla propria creatività con arrangiamenti sopraffini in linea con i tempi che corrono.
I maestri di pianoforte, quelli che provengono dal Conservatorio o da altri studi classici, sono discorsi a parte e possiamo individuarli in pochi ma significativi nominativi. Altri, come Teo Ciavarella per esempio, pur proveniente da studi classici, hanno scelto il jazz come modello di vita e in quel solco fanno valere le loro prerogative. Lui, che vive a Bologna e in quei luoghi insegna, fa concerti ed incide dischi è un po’ l’esempio della creatività d’esportazione che ogni paese sogna. Un orgoglio tutto nostro anche per la sua leggendaria generosità nei confronti del suo paese d’origine. E’ lui il pianista, il tastierista ed arrangiatore per antonomasia che ha saputo dare visibilità al suo talento attraverso un percorso artistico tra i più esaltanti finora vissuti da un nostro concittadino.
Degli altri pianisti di impostazione classica a partire da Angelo Ceddia, che tuttavia ha avuto il suo battesimo del fuoco nei settanta in gruppi rock, – a prescindere se abbiano o meno studi di conservatorio – ma proseguendo in questa direzione – possiamo annoverare nel gruppo anche i nomi di Giuseppe Tancredi, Angelo Gualano e Pietro Papagna, tre diverse figure per formazione ma unite nel promuovere una musica di qualità, senza citare per il momento i giovanissimi che stanno già premendo per prendersi la scena (Paragone, Lallo, etc. ).
Riguardo i fisarmonicisti storici non possiamo non ricordare il maestro Tonino Lombardozzi pluri citato in questo giornale per le sue virtù di educatore, (inebriante lo scatto in cui egli posa attorniato dai suoi giovanissimi allievi in una foto di metà anni cinquanta), Angelo Iannantuono, storico fisarmonicista insieme a Michele Perta dei primi gruppi pop a San Marco in Lamis, tra i sessanta e settanta. Aggiungo Giuseppe Vigilante, scomparso giovanissimo, Michele Ruggieri e Tonino Martino, suonatore di fisarmonica nei gruppi folkoristici di paese. Ma l’immagine più genuina e romantica voglio riservarla a Giuseppe Petrucci presente in alcune istantanee d’epoca nel gruppo Walter Pitet.
Nei settanta abbiamo avuto Leonardo Parisi, famoso per il suo Farfisa, e Angelo Ceddia, già citato, i quali militarono il primo negli Atomium – una formazione pop rock dei primi anni – e il secondo principalmente nei Mosaico dando una impronta decisiva al suono della band. Aggiungiamo Pietro Longo, tastierista/fondatore delle Pietre Azzurre, autodidatta, uno degli esempi più luminosi di musicista fai da te. Da citare anche Michela Mastromauro, fisarmonicista proveniente dalla scuola Santa Cecilia, nota perlomeno per noi, per aver eseguito l’intro de La Vadda di Stignano nel brano Sante Marche mia di Mikalett, un motivo diventato nel frattempo un “classico moderno”. Aggiungerei anche Luciano Cera, apprezzato fisarmonicista, che vive a Bologna.
E Domenico La Sala, infine, come dire l’emblema stesso del virtuoso della fisarmonica, colui che puo vantare una lunga militanza nei territori della musica pop locale sin dagli anni ottanta. Considerato l’erede naturale di Tonino Lombardozzi, Domenico ha una lunga gavetta di studi alle spalle ed è un artista di indirizzo classico. Attualmente milita nei Monoreddito, una formazione di musicisti evergreen col compito di arrangiatore e tastierista. Questo impegno però non gli impedisce di compiere escursioni anche nel campo nella canzone tradizionale e classica napoletana, di cui egli è un eccellenza suonatore.