Affaccete Marì… che li prete sapene de nua
di Mario Ciro Ciavarella Aurelio
Quello fatto viene scolpito. Non solo nelle anime e nei cuori, ma anche nelle pietre. Posti deputati a tenere in vita monumenti e cattedrali che sfideranno guerre e intemperie. Solo le pietre non muoiono mai, anche se frantumate, conserveranno dentro di esse frammenti e memorie di vite vissute.
E potremmo dire ai posteri: “In quelle pietre ormai divise, c’è ancora traccia di una storia che vi sto per raccontare…” e magari racconterà la storia di Maria e di Seppine (Giuseppe), una ragazza che non potrà amare il suo spasimante poichè i genitori di lei le proibirono quell’amore. Altri tempi…
In una pietra potremmo trovare il nome di lui, e in un’altra quello di lei, poi lamenti e lacrime di disperazione per non poter congiungere i due cuori. In un’altra pietra, la finestra della ragazza, dalla quale Maria si affacciò forse una sola volta, quando disse a Seppine che quel suo richiamo notturno di quanto fosse inutile.
Anche della luce della candela che si accende e si spegne nell’abitazione della ragazza, troveremmo tracce. L’ombra di lei che si ritrae alla fine della serenata di Giuseppe, e il capo chino di Giuseppe, stampati su due pietre ritrovate distanti, così come distanti sono rimasti i loro corpi e i loro sentimenti mai sopiti. Questa storia potrebbe diventare alla fine un enorme mosaico, povero come materiale, ma ricco come emozioni e sofferenze.
I passi del ragazzo che si dirigono sotto l’abitazione di Maria hanno lasciato le loro orme su pietre più grandi: sono passi generati da angoscia e trepidazione: Giuseppe forse sa già tutto di come finirà quella storia. Soprattutto quando lui ritornerà a casa sua, con in mano solo lacrime che ha asciugato dal suo viso. “Lu facceletton” di Maria impresso su un’altra pietra abbastanza grande, per contenere non solo la testa della ragazza, ma anche tanti pensieri confusi appena nati da una disperazione che non avrà mai fine.
La chitarra di Seppine usata per la serenata, rimarrà impressa su alcune pietre, che se vengono avvicinate alle orecchie, riecheggeranno ancora, soprattutto quando lei alla fine della serenata canta: “Scordalo mio bene, scordalo mio cari, mi t’ami tanto, mi t’ami tanto, mi t’ami ancor”. Un sigillo che metterà la parola fine alla proposta di lui. E anche il ritorno di Giuseppe a casa sua avrà come testimoni delle pietre, calpestate che diventeranno sempre più dure, man mano che il ragazzo si avvicinerà a casa sua. Si avrà la sensazione che quelle pietre siano state quasi conficcate nel terreno.
Una storia di un amore mancato, che aleggerà per sempre, come gli amori che non saranno mai compiuti. Ma rimarranno solo nei cuori di gente che si è avvicinata fino ad un certo punto. Ma poi il tutto morì, lì, a pochi centimetri dal compimento di storie che avrebbero potuto cambiare i destini non solo di due persone, ma di intere generazioni.
Di seguito: “Affaccete Marì” nella versione de “L’Eco del Gargano” https://youtu.be/KEtL7-_h3Wg