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Sindrome della vena cava superiore. Trattata con successo per via percutanea una donna di 45 anni

L’intervento, eseguito nell’Unità di Radiologia Interventistica, ha scongiurato gravi conseguenze dovute all’ostruzione della vena che trasporta al cuore il sangue proveniente da testa, collo, braccia e organi del torace

Una donna di 45 anni è stata ricoverata d’urgenza, nei giorni scorsi, per la cosiddetta sindrome della vena cava superiore. La donna presentava grave insufficienza respiratoria, gonfiori molto evidenti degli arti superiori, del collo, del volto e una forte congestione del volto e degli occhi.

Grazie all’esame TAC veniva evidenziata l’ostruzione trombotica del grosso tronco venoso che trasporta al cuore il sangue venoso proveniente da testa, collo, arti superiori e organi del torace. Dopo le prime consultazioni si è deciso di procedere con un intervento di Radiologia Interventistica.

«Abbiamo deciso di intervenire poiché tutti quei distretti corporei, a causa del trombo, non riuscivano più a scaricare sangue verso il cuore, determinando una situazione di estrema gravità con alte probabilità di sviluppare un edema cerebrale o un’embolia polmonare – ha spiegato Francesco Florio, medico responsabile dell’Unità di Radiologia Interventistica, che ha coordinato l’intervento –. Mediante l’uso di due mini sonde vascolari introdotte per via venosa all’altezza di entrambi i gomiti, siamo riusciti a superare le steno-ostruzioni delle vene, che provengono dagli arti superiori, e della vena cava, applicando due stent, uno a destra e uno a sinistra. Gli stent, che altro non sono che due protesi metalliche a maglie, schiacciando alle pareti i trombi garantiscono la pervietà del vaso che può continuare così nella sua funzione di trasporto del sangue».

La donna sta bene, rimarrà sotto osservazione e dovrà assumere una terapia anticoagulante in grado di garantire nel tempo i risultati finora ottenuti. «Interventi di questo tipo – ha concluso Florio – sono molto rari in letteratura. Personalmente, in 34 anni di attività, è il secondo caso che abbiamo trattato in questo modo. Per il buon esito della procedura è stato determinante l’apporto delle Unità di Pronto Soccorso, Ematologia e Radiologia Diagnostica».

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