Ho avuto il privilegio e il piacere di lavorare con Antonio Pettolino all’inizio degli anni “90 del secolo scorso.
Provenivo da un corso di dottorato di ricerca e, nei mesi immediatamente precedenti all’arrivo sul Gargano, da un periodo di studio e ricerca in una prestigiosa università del Nord America. Incontrai una realtà nella quale Antonio, unico medico assieme ad un eccezionale gruppo di collaboratrici e collaboratori, portava avanti un attento, costante e determinato programma di psichiatria di comunità. Mi resi rapidamente conto che di psichiatria sociale, che avevo studiato intensamente nei quattro anni precedenti, Antonio sapeva tutto e io non capivo niente. In altri termini, avevo trovato un maestro.
Antonio aveva un’eccezionale competenza clinica che applicava nell’incontro con i pazienti, nella progettazione dei servizi necessari a completare la risposta assistenziale, terapeutica e riabilitativa ai bisogni dei pazienti psichiatrici. Pur dotato di una fine intelligenza politica evitava di sostituire all’attenzione clinica la trattativa e la mediazione istituzionale. La prima era lo spunto per la seconda, come spesso non avveniva più nella psichiatria democratica italiana.
La vicinanza ai problemi dei pazienti e della popolazione gli consentiva di operare efficacemente nelle istituzioni, articolando proposte da sviluppare nell’immediato come nel futuro, proposte ricche sia di aggiornata teoria, sia di sensibile attenzione alla realtà sociale di San Marco in Lamis e San Giovanni Rotondo. Ricordo la creazione di un reparto ospedaliero arredato con mobili da albergo, l’impulso allo sviluppo di un centro sociale autogestito dagli utenti, il paziente che era stato pastore accompagnato più volte la settimana a far visita alle greggi… Antonio conosceva gli uomini, da operatori e pazienti sapeva tirar fuori le competenze e le passioni, ossia gli ingredienti necessari al buon esito di ogni attività di cura e riabilitazione.
Oggi abbiamo sotto gli occhi gli effetti dei tagli lineari alla sanità. Oggi sappiamo cosa significa misurare l’efficienza dei servizi contando il numero di prestazioni e dimenticando la loro efficacia per l’individuo e i gruppi sociali. Oggi in servizi per la salute mentale resi “leggeri” si offrono interventi basati su debolissime evidenze, di fatto interventi selettivi e standardizzati, usufruibili solo da una ristretta porzione di pazienti. E farmaci a pioggia. Oggi sappiamo quanto l’opera di Antonio Pettolino e di tanti altri ignoti operatori della salute mentale, di tante splendide realtà locali, sia stata scientemente rovinata e smantellata da tecnici e politici di destra e di sinistra. In nome della standardizzazione si è svalutato il ruolo della conoscenza sociologica e antropologica delle realtà in cui la psichiatria opera.
Ricordo un giorno quando, di ritorno da una trasferta di lavoro a Bari, Antonio mi indicò il profilo azzurrino del promontorio che si erge dal Tavoliere e mi disse quanto quella vista lo facesse sentire “a casa”. Tutt’altro che l’affermazione di un orgoglioso localismo, l’espressione invece di una mente in grado di vedere, osservando se stessa e la sua heimat, il senso e la grazia dell’esistere.
Scrivo queste righe da un’altra città dedicata a S. Marco, più famosa ma sicuramente meno autentica, dove nacque il più importante esponente della rivoluzione psichiatrica italiana. Qui e ora vivo l’epoca di un tecnicismo miserabile, nutrito da mediocri accademici, sordo ad ogni istanza ed ogni pensiero che venga dagli operatori dei servizi, considerati meri esecutori di modelli standard. Un destino benevolo mi ha consentito di guardarla con lo sguardo critico e ironico di Antonio Pettolino.