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Un film, una storia: “La Stazione”

di Mario Ciro Ciavarella Aurelio

Pochi protagonisti possono rendere una storia interessante. Almeno tre, ce ne vogliono per costruire vicende che spesso sono dolorose, se non per tutti i protagonisti, ma almeno per uno. E quello che avrà la peggio in questo film sarà il cattivo. Ci vuole sempre un cattivo che deve rendere viva una storia.

Se c’è un cattivo deve esserci almeno un buono. In questo caso sono due: un uomo e una donna. Che si incontrano in una piccola stazione ferroviaria pugliese, esattamente di San Marco in Lamis (FG) dove le loro vite si intrecciano, facendo decidere al caso chi avrebbe vinto quella piccola battaglia che si è combattuta sotto la pioggia e con alcuni treni che sfrecciavano sui binari.

Nell’autunno del 1989 allo scalo ferroviario locale c’era da alcuni giorni un viavai di gente e mezzi. L’allora giovanissimo attore Sergio Rubini stava girando e recitando in un suo film, “La stazione”, sceneggiatura tratta da una piece teatrale scritta da Umberto Marino. E in effetti il tutto si svolge quasi unicamente in quella stazione ferroviaria, che potrebbe essere un ideale palco teatrale dove i più bravi commediografi non lo fanno affollare inutilmente da troppi protagonisti.

In quel periodo venne affisso nel nostro paese un avviso con il quale si cercavano delle comparse locali per partecipare alla ripresa cinematografica. Non so se alla fine vennero scelti alcuni sammarchesi o di altri paesi vicini, la bellezza del film è data dalla storia molto semplice dove non c’è niente da capire (come si dice in questi casi).

Ma solo una ragazza che cerca di sfuggire al suo uomo. E si rifugia nel primo posto che trova strada facendo, di notte, qui incontra il capostazione dello scalo sammarchese, al quale chiede aiuto. Naturalmente tutta questa storia non poteva finire con la sconfitta della ragazza e del buon capostazione, e infatti alla fine i buoni vincono e il cattivo perde (meno male che esiste il Cinema che ci regala queste illusioni…)

La stazione ferroviaria viene vista dalla protagonista come una chiesa, una fortezza, una torre, un fossato già attraversato, e da lì mettere un cancello chiuso tra lei e il resto del mondo. Solo che casualmente dentro quel cancello c’è il capostazione che forse non era previsto nella mente della ragazza.

Ci sono anche dei binari: avrà pensato lei, era sufficiente camminarci sopra per arrivare in un posto qualsiasi, dove avrebbe trovato gente. Invece trova un capostazione “qualsiasi”. Le piccole stazioni ferroviarie di una volta avevano un qualcosa di diverso: non erano molto grandi, ma se ci arrivavi potevi essere certo che da qual momento in poi la tua vita poteva cambiare prendendo il treno giusto…

Erano dei piccoli mondi a parte, dove c’era l’essenziale. E tutto quello che non c’era, non serviva. Lui, lei e il cattivo danno dei connotati un po’ diversi a quello scalo ferroviario: ravvivandolo per una notte. Quando trionfa la giustizia e tutto ciò che non serve, lì dentro, non entra.

 

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