di Mario Ciro Ciavarella Aurelio
C’è uno strano filo rosso, o se volete uno specchio come quello di Alice che bisogna attraversare, che collega il mondo dei vivi con quello dei defunti. Non c’è nessuna voglia di lasciare questo mondo, spesso brutto com’è.
Il mondo dei vivi non ci basta. Vogliamo “abitare” anche quello dei defunti, però con il nostro corpo ancora da questa parte. Vogliamo conoscere la Verità senza varcare il confine, quello della Porta dello Spavento Supremo.
Quest’anno non raccontiamo per l’ennesima volta la disavventura della fornaia sammarchese la notte di Ognissanti, ma tre storie, accadute almeno sessant’anni fa sempre alla stessa persona. E sono vere. Non sono frutto di sogni o di dormiveglia (“tra meravigghia e ‘nzonn”). Il tutto alla luce del sole, non di notte, sia all’interno di locali che fuori. Iniziamo con la prima storia che potremmo intitolare “La bambina e il funerale”, la seconda “Sulla scalinata di San Matteo”, e la terza “Con il portone chiuso…”
“LA BAMBINA E IL FUNERALE”. Primo Avvenimento. Era di pomeriggio, era seduta sul balcone, e come spesso accade d’estate si cerca un po’ di refrigerio. Di tanto in tanto si dà uno sguardo in strada per vedere se ci sono visi conosciuti per sapere se il mondo ci regala novità. Ma niente via vai di gente: è un pomeriggio forse atipico, poco comunicativo. E si aspetta che passi la controra: quei pochi/tanti minuti che servono per riprendere fiato dopo aver mangiato e pulito la tavola.
Improvvisamente lo sguardo della signora va verso l’interno dell’abitazione, la proprietaria di quella casa vede una ragazzina, non sua parente o conoscente. Un’estranea.
Nessuno stupore: non era strano, tempo fa, che ci fosse gente che non si meravigliasse di vedere persone estranee in casa. Erano degli eventi che non dovevano essere interrotti da momenti di paura o panico. Poiché erano delle trame ben congegnate e che non dovevano essere cambiate in nessun modo: Così Doveva Essere. Gli intermezzi umani non devono esistere quando a comunicare con noi ci sono entità non di Questa Dimensione, ma inviati da Altrove per compiere quello che Deve Essere.
Come vedere forme e figure ben distinte come mai le abbiamo viste prima, in casa nostra. Anche se il tutto non suona famigliare come prima visione, ma nulla di strano: se quella Presenza è lì, è meglio seguire cosa accadrà. La donna rivolge lo sguardo verso la ragazzina e l’ammira: sembrerebbe nulla di strano, una ragazza normalissima vestita come doveva esserlo tantissimi anni fa. Non si muove, non dà segni di nervosismo, e la ragazza inizia a muovere le labbra, e dice: “Mo ce la portene a cummar Maria” (omettiamo il soprannome). Basta, nessun’altra sillaba esce dalla bocca della Presenza, che rimane immobile. Come se facesse parte di quello spoglio arredamento di una casa antica e umile.
La signora destinataria della missiva, dopo aver saputo di quella dipartita, volge lo sguardo sulla strada e vede in lontananza un corteo funebre. Si sporge sul balcone appoggiandosi sulla ringhiera e chiede ai pochi presenti che stavano aspettando che il corteo funebre sfilasse, chi fosse il defunto. E arriva un risposta dal basso: “Ce stann purtann a cummar Maria” (omettiamo di nuovo il soprannome).
La signora appoggiata alla ringhiera del balcone, cerca un po’ di forza, dopo aver appreso quella notizia (più che altro una conferma…) per rientrare in casa e risedersi sulla sedia. Ce la fa. Si siede di nuovo. Volge lo sguardo all’interno dell’abitazione, ma non c’è anima viva: solo e sempre quei pochi mobili che le fanno compagnia da tantissimi anni, forse da quando si sposò.
La Presenza femminile che per pochi istanti aveva occupato senza muoversi, quella casa, era andata via. Come un arcangelo Gabriele che dà un “buona novella”, anche se non si trattava della nascita miracolosa di qualcuno, ma della morte di una donna, e che in quel momento il suo funerale transitava lungo i due corsi del paese.
A volte quando si ha la sensazione che ci sia qualcuno che ci spii, cerchiamo di capre meglio quello che stiamo vivendo, con tutti i sensi. Si gira un po’ in casa, si aprono le porte per vedere se qualcuno si sia nascosto, si scendono dei gradini per vedere se qualche Presenza stia andando via dopo “l’evento”.
Ma in questo caso, come in tanti altri, nulla di strano. Ma la “stranezza” c’è stata, solo che la ricerca fatta dopo non ha dato nessun risultato logico. Ma poi di logico cosa c’è nella vita?
“SULLA SCALINATA DI SAN MATTEO”. Secondo Avvenimento. Non era raro, tempo fa, farsi una scampagnata a San Matteo, ma anche arrivare fino alla curva di Palatella sembrava andare in gita, come se si andasse dal papa!! Adesso si dice andare fuori porta… va be’, ma non rende l’idea. E durante una di queste “gite” fuori porta, successe qualcosa di inspiegabile.
Alcune ragazze dell’Azione Cattolica avevano accompagnato dei bambini a San Matteo, e tra un gioco e una preghiera ad un certo punto, una di queste ragazze responsabili del gruppo, viene chiamata da un signore, rigorosamente vestito di nero, alche il cappello era nero. Il signore era seduto sull’ultimo pianerottolo, salendo la scalinata (come si faceva una volta), prima di arrivare al Convento.
“Cu mme l’aje” (stai parlando con me?) “Scì, cu te, ada dic a figghiema Rachele che lu padre la va truvann”. “Va be’, mo n lu dich”.
La ragazza alla quale era arrivato il messaggio da recapitare a Rachele, subito si mette alla ricerca della sua amica Rachele, anch’essa accompagnatrice di quel gruppo. Appena Rachele riceve quel messaggio, si rivolge all’amica, che aveva visto suo padre lì vicino, con parole molto offensive.
C’era qualcosa di strano. La ragazza che aveva parlato con quel signore seduto sulla scalinata, iniziava ad avere forti dubbi su quello che aveva visto e sentito da quell’uomo. Chiese a Rachele come mai di quella risposta così dura, Rachele spiegò, poi con calma, che suo padre era morto proprio dove l’amica l’aveva visto, lavorava per il convento facendo il guardiano ai maiali che avevano i frati.
Il tutto avvenuto su una scalinata. Chi stava in alto e chi in basso. Una richiesta da parte di un’anima che chiedeva di essere visitato dalla figlia. La Presenza era di nuovo lì dove venne trovata senza vita. Con l’abito che si indossa quando si parte per Altrove.
La descrizione fatta era uguale a quella dell’uomo quando era in vita: viso, altezza, corporatura… forse non si perdono i connotati fisici quando si Inizia a Vivere per Davvero. Anche la voce non cambia. E forse nemmeno la disperazione muta in altri luoghi. Ma qualcosa rimane, lì, dove il nostro corpo ha lasciato la Terra. Nel momento della resa dell’anima, le molecole delle nostre ossa e sangue rimangono ancorate, lì, non sappiamo per quanto…
“CON IL PORTONE CHIUSO…” Terzo Avvenimento. I piedi affondavano dentro la neve. Così come si “usava” tantissimi anni fa. Quando le nevicate non permettevano di distinguere la fine del lato destro e l’inizio di quello di sinistra di una strada. La donna dalla sua abitazione arrancava non poco, ogni mattina, per andare ad aprire l’ufficio dove lavorava da anni. Era la prima che entrava. E lo faceva anche alcune ore prima dell’inizio del lavoro.
Il portone viene aperto, ed entra. La neve la lascia alle sue spalle: con tantissime orme che misuravano parecchi centimetri in profondità. Nel locale dove lavorava, come sempre non c’è anima viva. Fino a quel momento. Il tempo di percorrere uno dei corridoi per alcuni metri, che si trova davanti a lei una bambina. Con addosso solo da una “cammisciola” lunga fino ai piedi, che erano scalzi. “Uagliò, e mammeta da sola t’ha lenzata?”, nessuna risposta. Quella Presenza così piccola non sembrava spaesata in quell’ambiente, per niente impaurita, dà la manina alla signora che l’aveva trovata, e insieme iniziano a girare nelle varie stanze. Alla ricerca della madre della “piccola smarrita”.
Mano nella mano. Come due persone che si conoscevano da tempo. Anche se nessuna delle due sapeva nulla dell’altra. Sulla fiducia. Si incamminarono nei corridoi per cercare una logica a quell’amicizia nata da pochi secondi. Ma anche alla ricerca di una madre, che riconoscesse quella creatura come sua.
I passi aumentavano, nel silenzio assoluto di quei locali dove non c’era nessun movimento di “umani in vita”. Tutto era chiuso e vuoto. Le due mani che si facevano compagnia erano ancora intrecciate. Ma poi. Improvvisamente. La mano della signora si accorse che qualcosa le era sfuggito di mano: l’altra mano. Si girò per vedere se la bambina avesse perso il ritmo di quella strana ricerca, ma dietro di lei non c’era nessuno.
Si incamminò verso il portone per vedere se la piccola fosse uscita da sola fuori dal locale. Il portone era chiuso, come l’aveva lasciato la signora quando lo aprì per poi chiuderlo per recarsi al lavoro. Aprì il portone, vide fuori se ci fosse qualche viandante per chiedere informazioni su una piccola creatura con una piccola camicia addosso. E scalza.
Solo la neve che era caduta abbondante, forse sapeva di quel mistero. Fuori non c’era nessuno, solo gelo e nemmeno un’orma su tanta neve fresca. Il portone venne richiuso. E si continuò a pensare come quella Presenza fosse entrata, ma anche come fosse riuscita ad uscire. Da sola. Quasi nuda. Senza lasciare impronte sulla neve.
Nessuno sa cosa possa esserci completamente nel visibile. Quello che vediamo racchiude anche alcune Porte che a volte si aprono. E non a tutti è dovuto vedere l’invisibile. Messaggi da mondi che ci danno segnali netti. Anche se poco chiari. Ma sicuramente interessanti per cercare di capire perchè l’uomo è diverso dalle altre creature. Non sappiamo se migliore…