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Il “librone” sui canti popolari di Grazia Galante

di Tonino DEL VECCHIO

L’ultima fatica di Grazia Galante, prolifica scrittrice di casa nostra, s’intitola “La ‘Vadda de Stignano’ e altri canti popolari di San Marco in Lamis”. Si tratta di un vero e proprio librone di circa quattrocento pagine. Tanto a prosieguo di un omonimo volume apparso in vetrina nel 2015 per i tipi di Levante, comprendendo esso una esaustiva e completa raccolta di composizioni di ogni tipo e tempo della tradizione locale e garganica, in generale. Scritto, quest’ultimo, allora ben visto, in quanto prefato da un raffinato narratore pugliese illustre come Raffaele Nigro, che apprezzò le doti e lo scopo della Galante, stimolandola ad andare avanti su questa strada, che pochi conoscono, approfondiscono o amano.

Dello stesso avviso si dimostrò anche il grande letterato Joseph Tusiani, a cui il libro è dedicato. Egli, dalla sua lontana casa di Manatthan (New York) seguì passo passo, via telefono, l’evoluzione del poderoso lavoro di ricerca ed elaborazione. Grazia, di lui, era amica stretta e fidata, tanto da accompagnarlo in ogni dove dentro e fuori del Promontorio, quando il letterato veniva ogni anno ad assaporare nella sua Padula (quartiere tipico del centro storico della città) l’aria e la vita della sua città natale. Il libro in parola, prefato da Saverio Russo, accademico e uomo di cultura a tutti noto, è edito da Andrea Pacilli, giovane e forbito editore di Manfredonia.

Semplice ed espressiva la veste grafica della copertina, che si avvale di una fotografia panoramica della città, scattata dall’alto. Immagine tratta dal ricco ed originale archivio di Giuseppe Bonfitto, fotografo super per passione. L’interno invece è illustrato da altri pezzi unici del ricco campionario artistico di Giuseppe Ciavarella, disegnatore anche lui super, ritraente, angoli e personaggi tipici del paese. Spartiti e pezzi musicali più importanti sono riprodotti in grafica dal maestro Michelangelo Martino. Il tutto è corredato da un CD ben sistemato nel retro copertina, masterizzato da AMP studio di Ciro Iannacone, musico e cantante di prima grandezza, contenente i vari aspetti della materia.

Ed ora passiamo al contenuto. Si parte dalla raccolta dei Canti da ballo, che si apre con “Quanne abballa lu ricce e la cestunia” (Quando balla il riccio e la testuggine), canto guidato, come gli altri, dalla tipica tarantella del Gargano. Si passa poi ai “Canti comici e satirici”. Tantissimi. Tra l’altro, ci sono: “Sott’acqua e ssotta vénte” (Sotto acqua e vento del temporale); “A mmè me chiamane lu prèvete chernute” (comprensibile) e “Zi’ monnece riccombìse, scija laudate” (Zio monaco ricco appeso, sia laudato).

Si hanno, quindi, i cosiddetti canti calendariali, ossia riguardanti le principali feste religiose e profane dell’anno. Troviamo per prima “Quanne Maria lavava (comprensibile), “E nnua sime muntagnole” (e noi siamo montagnole), alla più nota e cantata “Jo’ jè Gnenzante” (oggi è “Tutti I Santi”). Seguono i canti del lavoro, canti più rari e introvabili, per le cambiate situazioni del lavoro. Tra esse c’è “Tutte tènne li péde e llu ninne mija no” (tutti tengono il piede, ma il mio giovane no) oppure “Mariiuccia corta e cchiéna” (Mariuccia, bassa e grassa). Significativi i canti dell’emigrazione. Qui i più avvertiti, in quanto città di emigrazione. Le principali hanno come tema di fondo, la corrispondenza. Così abbiamo: “Carulì’, scriveme spisse” (Carolina, scrivimi spesso); poi la più nota”Mariteme jè gghiute all’America e nno mme scrive” (Mio marito è andato in America e non mi scrive) ; l’ultima tocca il maggiore continente di emigrazione che è l’Australia: “Zì’ Antònie dell’Australia” (comprensibile).

Piuttosto variegata e ricca la raccolta dei canti politici, che tocca non solo temi e personaggi locali, ma anche nazionali. Per esempio: “Vettorie Manuèle”, “Duce, Duce”, Vulime a Criste cu lla camicia roscia” (Vogliamo Cristo con la camicia rossa); “Don Dummineche Fioritte” (Domenico Fioritto, segretario nazionale Socialista); “Magnatille e ssucatilli lu ssu lemone” (mangiati e succhiati questo limone, a significare una sconfitta elettorale); “Quanne véne Majetelasse” (Quando viene Maitilasso, deputato socialista). Non mancano i canti di tipo guerresco, come “Nennèlla, dumane parte (Piccola, domani parto), “Se la mija matre me dumanda” (se mia madre mi domanda) e “Mo’ passa la carrozza” (comprensibile).

Si chiude con i canti detti alla rovescia, come “Vogghie cantà na canzona alla mmèrse”; “Ji sacce na canzona de bbuscije” (entrambi comprensibili); e canti vari, ossia non classificabili nellepredette categoria, che abbracciano vari altri temi ed occasioni. Esempi: “Santemarchéssa mia…; “Quanne lu ràvele pezzeléja la ficura” (Quando il ragno assaggia il fico), ecc. La chiosa è costituita dai canti religiosi: “Sante Mechèle de Monte”; “Santa Lucija”; “Li trè surelle”; “Susanna e vvoje Susanna”. Dulcis in fundo: i canti dei banditori, i lamenti funebri e quant’altro.

Con quest’opera la Galante sale un gradino in più nel campo della conoscenza approfondita della sua città, facendosi tutt’una con essa in termini di immedesimazione e di sentimento.

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