di Luigi Ciavarella
La stagione del glam che investì l’Inghilterra (e in seguito l’Europa intera) fu un evento non soltanto di portata musicale ma sopratutto d’immagine che occupò la scena nei primi anni settanta del secolo scorso. Mi è rimasta di quel momento principalmente un’ idea decadente che associo ad un movimento legato indissolubilmente alla esuberanza dei protagonisti piuttosto che alla musica che essi produssero, che fu ugualmente interessante. Un’idea che muove i fili dai volti dei protagonisti che ne hanno caratterizzato la scena. Innanzitutto David Bowie, il camaleontico personaggio che investì molto in questo settore, ma anche del suo mentore Marc Bolan, che lo seguì a ruota con il suo gruppo T-Rex , se vogliamo ancora più incisivo, sino a quando non perì in un tragico incidente stradale nel 1977. Due personaggi rappresentativi per capire il Glam (da Glamour, fascino, prestigio) anche se intorno a essi abbiamo avuto una pletora di musicisti dalle diverse sfumature stilistiche che hanno fatto da sfondo al loro movimento. Un universo affascinato dai lustrini, dai colori appariscenti, dal trash e da una sovrastante atmosfera decadente, fin troppa eccessiva per i tempi, che furono gli ingredienti con cui cavalcarono la loro arte, gli stereotipi ambigui e sensazionali.
Abbiamo avuto diverse gradazioni di glam rock, quello importante, dai gusti teatrali e radicali che ha realizzato capolavori che ancora oggi vengono ricordati per il loro valore e per la capacità di aver segnato un’epoca precisa, ed altri invece che sono stati nient’altro che prodotti di consumo, ma che hanno tuttavia permesso al genere di avere una certa visibilità nelle charts, necessaria per ottenere quel consenso necessario alla sua sopravvivenza. Da aggiungere anche una certa aurea intellettuale, presente in quelle frangie più esposte concettualmente alla sperimentazione, che subirono dal glam una fascinazione folgorante. Ma a noi interessano i temi musicali, gli album, le canzoni, nonché i gruppi e gli artisti che hanno generato questo mondo in fondo fantasioso e innocuo, fatto di eccessi e gesti plateali che oggi farebbero persino sorridere ma che all’epoca furono di una bellezza disarmante, un unicum nella storia della musica rock. L’artista più importante fu David Bowie, l’irrequieto sperimentatore per antonomasia, colui che dettò le regole del glam: look appariscente, canzoni travolgenti, scrittura sensuale con allusioni esplicite, atmosfere decadenti ma sopratutto fantasia sterminata. Del duca bianco va ricordato l’album “Ziggy Standust”, l’ album manifesto del glam. Uscito nel 1972 Bowie costruisce intorno alla figura di Ziggy l’emblema stesso del suo ego smisurato, alieno, glamour e lo investe di un ruolo guida nella sterminata galassia del rock dai lustrini accecanti del glam. Lo segue Marc Bolan con la sua nuova creatura T-Rex, dopo una esperienza senza sbocchi, con un paio di album epici come il “primo” e, sopratutto, “Electric Warrior”, usciti nei primi anni settanta, prima di Ziggy Standust, ma ispirati da Bowie, che contengono i brani più importanti della sua carriera: “Ride A White Swan”, “Get it On”, “Metal Guru” e “Jepster”, titoli fondamentali per comprendere l’universo elettrico del glam. Seguono Steve Harley e i Cockney Rebel dall’indole decadente, ambiguo, che infilano anch’essi un paio di album indispensabili: “The Human Menagerie” (1973) e “The Psychomondo” (1974) prima di cadere nell’anonimato. Di loro va ricordata la stupenda “Sebastian”, sul tema dell’omosessualità, finita per diventare, insieme a “All The Young Dudes”, scritta da Bowie per i Mott The Hoople di Ian Hunter nel 1972, l’inno della comunità gay di Londra, prima ancora di essere uno dei brani simboli del glam.
Tra gli artisti più rappresentativi anche un Lou Reed che, proveniente dagli States dopo i fasti dei Velvet Underground, vi giunge in una Londra spaesata in cerca di ispirazioni. Qui, dopo un inizio sotto tono trova una sponta in David Bowie che gli cuce addosso i panni decadenti dell’ ambiguità sessuale e della provocazione, con risultati peraltro eccellenti riscontrabili negli album “Transformer”, “ Berlin” e “Rock ‘n’ Roll Animal”, un live, quest’ultimo, ancora oggi considerato tra i vertici dei dischi dal vivo,
Di diversa provenienza i Roxy Music di Brian Ferry e Brian Eno i quali, seppure sedotti dal Glam più incline al romantico, possedevano una solida preparazione musicale. Il loro debutto avviene nel 1972 con un album (omonimo, con una bella immagine di copertina che ritrae una seducente Kari-Ann, futura signora Jagger) che fa subito emergere la loro natura intrigante, raffinata, pop, ma anche un’anima sperimentale grazie agli interventi di Eno alle tastiere, senz’altro la mente più creativa del gruppo. La storia dei Roxy Music proseguirà poi su binari più pop ma sempre espressa con eleganza. Dopodiché il glam rock si espande in ogni luogo (i Pavlov Dog in Usa per esempio), si contamina, diventa inevitabilmente una moda. Molti personaggi a vario titolo vi entrano, siano essi maggiori che minori, tutti uniti da una libertà espressiva di fondo che gli rende unici: Elton John, i Faces di Rod Stewart, i Queen di Freddy Mercury, i Kiss, nonché i minori e commerciali Gary Glitter, Slade, Sweet e Suzie Quatro sino a spingersi oltre i limiti temporali dei settanta, influenzando così, con i suoi suoni ribelli e gli oltraggiosi fermenti creativi, le successive generazioni.