La musica del 2020 tra dischi rock, Covid e altre storie
Pochi album in verità ma tutti dotati di una loro peculiare bellezza interiore, originale e seducente
di Luigi Ciavarella
Anche quest’anno, seppure con colpevole ritardo, non faremo mancare ai nostri lettori il piacere di portare alla loro conoscenza quegli album che, a vario titolo, ci sono piaciuti. Si tratta di titoli prevalentemente italiani più uno di provenienza inglese tanto per dare un’idea di eterogeneità della musica rock. Un tempo terribile, diciamolo subito, per le sorti della musica e dello spettacolo in genere se riferito alla attualità dominata com’è dalle restrizioni dovute al contagio del virus, e dove tutto è fermo, annullato, interrotto, provocando in tal modo al sistema danni ingenti soprattutto in quegli ambiti dove si produce la musica dal vivo. Non soltanto musica certo ma il crollo delle attività dal vivo (concerti e teatro) è l’aspetto forse più devastante che il settore sta subendo. E a nulla valgono lo streaming o altre forme di comunicazione a distanza per curare questa ferita che sanguina, né la solidarietà concreta dello stato o di altre categorie affine possono lenire questo momento di sofferenza, poiché non vi è nulla di più frustrante su tutto quanto l’ assenza di contatto tra artista e spettatore, quella magia che si manifesta soltanto in alcuni luoghi e dove esercita tutto il suo fascino.
Tornando ai dischi sono piaciuti innanzitutto gli italiani Witchwood (Before the Winter, Jolly Rogers), La Stanza delle Maschere (Omonimo_Black Widow), Calibro 35 (Momentum, Record Kicks) più gli inglesi Idles (Ultra Mono, Partisan). Alcuni di questi nomi (Witchwood e Calibro 35) il nostro giornale ne aveva già parlato in passato descrivendo la loro musica e allo stesso tempo anche la scena underground che li aveva generati. Si tratta di una scena in movimento diventata nel frattempo inarrestabile, che ha prodotto altre novità (La stanza delle Maschere, per esempio) con nuovi suoni che, pur facendo riferimento anche loro al passato, qui vengono rigenerati con originalità e maestria e riproposti con una tale energia compositiva da lasciarci estrerefatti.
Riguardo i Witchwood, il Bosco Stregato, ricordo che essi hanno al loro attivo già un paio di album (i notevoli “Litanie From The Wood” e “Handful of Stars”) prima di pubblicare questo superbo lavoro dal titolo “Before the Winter” che possiede autentici momenti hard blues di chiara matrice seventies, dotato di suoni possenti come di ballate dalla linea melodica accattivante. Da citare la potente voce di Ricky Dal Pane e le taglienti chitarre di Antonino Stella nonché il flauto traverso di Samuele Tesori, che ben si adatta al suono della band. Non da meno la sezione ritmica formata da Luca Celotti al basso e Andrea Palli alla batteria.
Introdotto da una immagine di copertina adeguata ai temi trattati, l’album eponimo de La Stanza Delle Maschere di Domenico Lotito, leader della formazione, raccoglie a piene mani l’eredità di quell’universo sonoro proveniente dal sottobosco cinematografico dei settanta quando le colonne sonore dei film tipo “Milano Calibro 9” (qui con una dedica a Fernando Di Leo, Luis Bacalov e Gastone Moschin) o gli horror di Lucio Fulci avevano una forte ascendenza sull’immaginario dello spettatore (ma anche un Pupi Avati d’annata, vedi per esempio la traccia de “La casa delle finestre che ridono”), dove il tutto viene idealizzato attraverso un muro di suono compatto e aggressivo (merito anche degli effetti prodotti da Roby Tav alle tastiere) su cui vengono declamati versi dai toni apocalittici. Ai lavori vi partecipa anche Paul Chain, figura centrale, in passato, del death metal italico più truce. Un album insomma dall’impatto deciso, originale, che non ci lascia indifferenti. Rimanendo nell’ambito cinematografico ma con un suono decisamente più funky e articolato (di genere poliziesco, spy story, etc.) segnaliamo l’ultimo album della formazione Calibro 35 dal titolo “Momentum”, uscito ad inizio anno, anch’esso rivolto al mondo delle colonne sonore.
Fuori dai confini nostrani mi piace segnalare un album degli inglesi Idles, (Ultra Mono) di Bristol, dotato di una furia post punk di tipo nichilista, militante, conflittuale, evidente sin dal primo brano (la violentissima “War”). La band si fa valere per le prese di posizioni estreme contro tutto e tutti, espresse con devastante forza narrativa attraverso l’impiego di chitarre abrasive e voci urlanti. Un mix di pura energia che non trova sponde, se non nel passato remoto del punk più estremo, nella odierna scena rock contemporanea. Arrivederci all’anno prossimo, se saremo naturalmente sopravvissuti agli attacchi del virus.