di Antonio Daniele
Per volere del governo italiano il 18 marzo sarà dedicato alle vittime del Covid. La data, simbolica, è stata scelta a un anno esatto dal giorno in cui dagli obitori di Bergamo e provincia, i camion militari portarono via decine di bare per poter essere cremate fuori regione.
Le foto fecero il giro del mondo. L’Italia, rinchiusa in casa, fece i conti con una realtà che fin a quel momento stentava a credere. Volti, nomi, persone care che non hanno ricevuto nemmeno un’ultima carezza dai propri cari. Persone che, nel silenzio di una nazione ammutolita, hanno lasciato questa terra senza far rumore. Dolore e pianti vissuti nel nascondimento delle mura domestiche.
Posti improvvisamente vuoti rubati da un virus che ancora facevamo fatica a spiegare.
Posti lasciati per sempre vuoti senza il tempo necessario per poter miticare e far nostra quell’assenza. La speranza ha lasciato il passo alla paura. E con fatica abbiamo ripreso il filo della quotidianità e della fiducia. Quelle morti che sembravano lontane, hanno bussato anche alla nostra porta.
Amici, parenti, vicini di casa, conoscenti, sono state vittime di questo virus. Volti familiari. Amici di una vita. Vicini a noi cari.
Tanti anche nella nostra S. Marco sono volati via nel silenzio. Nemmeno il tempo di un saluto. Di un abbraccio ai familiari. Le parole che in un tratto avevano la pesantezza dell’ingombranza. Silenzi più pesanti di qualsiasi altro elemento. Anestetizzati da un dolore improvviso.
Contiamo ancora oggi i nostri morti. La storia ci dirà quello che è veramente successo. Oggi, nel ricordo dei nostri cari, le lacrime scorrano per irrorare la speranza nel futuro. Oggi, la morte di questi cari, dovrebbe essere da monito a comportamenti a volte superficiali.