di Luigi Ciavarella
Nato nel 1626, Sabbatai Zevi, discendente da una facoltosa famiglia di ebrei sefartiti di Smirne (Turchia), dediti al commercio, un bel giorno, nonostante la rigida educazione religiosa ricevuta, si converte all’Islam. Questa repentina conversione, ci viene spiegato, fu dettata dal timore di essere ucciso. Ma in realtà il mistico Zevi dell’ebraismo ereditato dai padri non importa nulla, il suo principale interesse è piuttosto rivolto all’esoterismo.
Dopo un continuo girovagare tra Turchia, Grecia ed Egitto, nel 1648, a Smirne Sabbatai Zevi si autoproclama il Messia suscitando l’ira della comunità ebraica del posto al punto di essere cacciato dalla città. Cosa diceva il mistico Zevi? Egli asseriva di voler redimere il popolo ebraico dalla perdizione del peccato attraverso alcuni insegnamenti che prendevano spunti sia dall’islam che dall’ebraismo, una sorta di “sincretismo esoterico”, come viene descritto, perlomeno singolare per il tempo, quindi poco accolto anzi rigettato da subito dalla due comunità.
Insomma vi appare un nuovo profeta dal carattere sovversivo, sicuro di sé ma poco seduttivo poiché incompreso da tutti, sino a quando, vagando qui e la (trova persino il tempo di sposarsi con una ebrea polacca di Livorno), non incontra a Gaza un certo Nathan, un intellettuale di quei luoghi, cabalista e asceta, con il quale trova finalmente la quiete spirituale.
E’ un album che accresce ulteriormente il valore e la considerazione del rock italiano in ambito europeo per l’evidente qualità della proposta, spesso articolata su diversi livelli compositivi, divisi tra ballate dal sapore evanescente e suoni più inclini al verbo doom, nelle sue accezioni più seducenti.