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“Tempe de Fracchie”, lirica di Antonio Villani

“Non chiedermi – scriveva Pasquale Soccio – rabberciate notizie di etimo che potrebbe fornirti qualche saccente persona del luogo…”

di Luigi Ciavarella

Quest’anno, dove questa poesia ci conduce, dovremmo parlare di “Fracchia” ovvero di colei che non c’è ma si sente nell’aria, per ricordarci i tempi difficili che stiamo attraversando. Per la seconda volta consecutiva i riti della Pasqua ci vengono sottratti, la funzione popolare ci viene interdetta. Il tempo è sospeso, ogni cosa rimandata. Questo tempo non ci lascia altro spazio se non il ricordo di quando la costruzione della fracchia impegnava decine di persone per intere settimane affinché avesse la giusta fisionomia e sopratutto bruciasse nel bel mezzo del tragitto il venerdì sera, per illuminare il cammino dell’Addolorata.Questo è un tempo crudele, incredibile, fragile, che uccide i sentimenti. Non interessa neppure dare in questa sede una definizione dell’etimo “Fracchia” né elogiarne la bellezza o la forma (“Non chiedermi” – scriveva Pasquale Soccio – “rabberciate notizie di etimo che potrebbe fornirti qualche saccente persona del luogo…” in “Gargano Segreto”), nulla ha importanza questo Venerdì Santo poiché ciascuno di quei tronchi secchi ne conserva un pezzo nel proprio cuore, con semplicità, direi nella purezza che ciò comporta questo gesto in rapporto ai tempi che stiamo vivendo.

Il poeta Antonio Villani in questa lirica vernacolare guarda alla “ Màdonna addulurata/ Mamma d’ ogni fràcchiajòle” come ad una mamma benevole, protettrice, (“reparece cu ssu mante/la fatija d’ògni janne”), e allo stesso tempo rievoca l’atmosfera che quaggiù in paese, nelle case, ovunque si respira nel calore della festa, che, seppure cambiata nei modi, rimane sempre fedele allo spirito della tradizione (“Còme tutte lu pajése/addòre de prupate”), mentre l’ombra della Fracchia stasera tace, chiusa nel suo mutismo irreale, e la sua assenza è una ferita che sanguina. Un dolore che racchiude tutte le sofferenze del mondo.

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