Presentazione del volume di poesie dialettali “J’òje, jére, e ll’atu jére” di Tonino Villani
Giovedì 21 ottobre alle ore 18,00 presso la sala della biblioteca. Sarà presente il cantautore Ciro Iannacone
di Luigi Ciavarella
Dopo la pausa imposta dal Covid ecco che tornano ad apparire le presentazioni di opere letterarie pubblicate prima o durante la fase di restrizione. Tra questi anche il volume di poesie dialettali J’òje, jére, e ll’atu jére di Tonino Villani, che verrà presentato giovedì sera presso l’aula magna della Biblioteca comunale.
Uscito nel novembre dello scorso anno, il libro, che consta di una cinquantina di liriche, si alimenta di temi molto cari all’Autore, che lo hanno forgiato nel corso di questi anni: i ricordi del passato, il dolore (“Nu jurne d’Ajuste”, peraltro diventata nel frattempo una canzone interpretata da Ciro Iannacone) e “Lu sonne dell’ome”, entrambi dedicati a due tragici eventi cittadini, come in “Pajese che aspitte”, che parla però di un ritorno a casa, interpretata da Michela Parisi, e “L’Alleluja”, in coda all’elenco, anch’essa fatta propria da Mikalett, che denuncia invece mali più contemporanei sfuggendo per una volta da quel mondo di ricordi, stati d’animo e atmosfere struggenti provenienti dal passato, qui evocato in abbondanza, come tra l’altro ben sottolinea Raffaele Cera nella presentazione.
La poesia dialettale di Tonino Villani, Autore molto prolifico sopratutto in questi ultimi tempi, è dominata da un carattere sentimentale molto forte. Il passato, attraverso i suoi appassionanti ritorni d’immagine, domina l’intera raccolta a cominciare dall’iniziale “A’ssante Matté” che non ci conduce all’immagine del Santo bensì parla del ritorno di chi è partito. Sulla stessa scia anche “Cérchene”, dedicato invece a chi si appresta a farlo (“Li lénzene quéddi terre/chi sa ttrovene la pace”) mentre in “Bandiéra giàlla”, che cita due canzoni care alla nostra generazione (Bocca di rosa e, appunto, Bandiera gialla) il tema invece è la quarantena e i conti col passato, gli anni sessanta in questo caso.
Molto romantiche, gioiose e sentite “Rusce de Puzzatine”, il luogo rappresentato nella foto di copertina, ”Sentirete” (“Non ce stà, eppure te sènte/gnincòsa nturne parla dde te/còme cqua lenzasse l’anema/méntre lu corpe sta luntane”) e “Ròsa sènza spine” (“Vogghie purtarete cu mmé/ògni lloche, gni mumente/pe rresperarete quanne/tutte nturne pucundruse”) parole d’amore che lasciano una traccia profonda nel cuore di chi legge.
Vi troviamo altre significative poesie come l’amara “Pupetta” (“Ce retira, tròva scurda/e lu fòche pure appiccia/Na menestra cretta cretta/l’avanze dell’ata sera”) oppure la divertente “Quanne te nzure” (“Matre e figghe inta na buttigghia/nòre, socere, manche lenzòla”).
Insomma una lettura spassionata e avvolgente che ci riporta al passato che profuma di cose buone fatte in casa, di persone importanti che non sono più tra noi (Tusiani per esempio), di luoghi della memoria che qui palpitano all’unisono, di incontri come di distacchi, di ritratti color pastello ma soprattutto di vissuto, che sembra dominare su tutto.
Con i suoi riti e le sue passioni, nel solco della tradizione che fu di Borazio e di Tusiani, ma riportata ai giorni nostri, in questi tempi agitati che stiamo attraversando.