“The Universe Inside”, la svolta dei Dream Syndicate di Steve Wynn
Uscito nel 2020 il nuovo album dei Dream Syndicate rivela un suono spiccatamente sperimentale pur radicato nel suono Paisley Underground.
di Luigi Ciavarella
Dopo i due album del nuovo corso (“How Did I Find Myself Here?” e “These Times”, 2017/19), i Dream Syndacate affrontano il presente con una musica decisamente più rivolta alla jam session (“The Universe Inside”, 2020), con suoni piuttosto che canzoni, che coinvolgono diversi stili il cui collante però rimane il riverbero psichedelico che sembra la sostanza con cui Wynn e soci alimentano la loro musica in questa nuova fase. Un suono psichedelico, infatti, già molto presente nei due album citati, che qui assume i contorni di un progetto ben definito e molto più avanzato rispetto al recente passato.
Steve Wynn, il leader della band californiana, cambia dunque registro ed entra in un vortice compositivo in cui prevalgono brani dalla lunga durata (i venti minuti dell’iniziale “The Regulator”, per esempio) in cui trovano spazio sia la psichedelia, quella più ipnotica, avvolgente, che un certo jazz intrigante che ricorda molto, grazie agli interventi al sassofono e alla tromba di Marcus Tenney, il Miles Davis più conturbante. Una fuga in avanti che inaspettatamente cambia il modo di approcciarsi alla composizione da parte di Steve Wynn. Non più ballate elettriche più o meno memorabili che hanno fatto la storia del Paisley Underground californiano degli anni ottanta, ma brani allucinanti, vibranti, accentuati nei loro ritmi più progressivi come possiamo constatare nel secondo brano “The Longing”, dove il riverbero sperimentale è più pronunciato rispetto al resto.
Alle sessions vi partecipano vecchie conoscenze del Paisley. Prima di tutto l’ex Green On Red Chris Cacavas alle tastiere, impegnato ad intrecciare suoni elettronici sulla voce filtrata di Wynn in cui il tutto sembra provenire dallo spazio siderale (“Apropos Of Nothing”); poi troviamo persino Stephen McCarthy (anch’egli di quelle parti, Long Ryders) addirittura al sitar in un brano, senza contare la base ritmica ben collaudata di Mark Volton che detta la sua inconfondibile linea di basso, e Dennis Duck alla batteria. Aggiungiamo il chitarrista Jason Victor subentrano nel 2013 in seno al gruppo.
Conclude questo viaggio dalle intuizioni affascinanti “The Slowest Rendition”, anch’esso dalla lunga durata (oltre dieci minuti) che da definitivamente la misura del non ritorno, del futuro immaginato, proiettato com’è verso un avvenire radioso e sorprendente costruito sugli artifici elettronici e la musica psichedelica che qui trova la sua massima consacrazione espressiva. Moderna e funzionale ad un progetto tutto da scoprire di cui siamo appena agli inizi e che segna il nuovo corso dei Dream Syndicate.