Quando non c’era Internet: andando in giro per San Marco
di Mario Ciro Ciavarella Aurelio
È difficile capire quando si diventa grandi. Qualcuno diceva quando si paga il biglietto per la “pustala”. Oppure quando si aveva “lu svelupp”. Che poi, erano due momenti della vita che più o meno coincidevano come età.
E da quel momento si andava in giro in paese con una consapevolezza diversa rispetto anche a pochi mesi prima. Diciamo che si iniziava a diventare “grandi” a 14 anni, l’ultimo anno di terza media. Da quel momento tutto ciò che si vedeva e si sentiva veniva filtrato, analizzato e discusso (anche se con pochi simili) con occhi diversi.
Si entrava in un bar e si assisteva ad alcuni giovani che mettevano 100 lire nel juke box per ascoltare tre canzoni. E quei giovani “prendevano possesso del mezzo discografico”: diventava di loro proprietà. Si mettevano con il sedere appoggiato sul lato anteriore dello strumento, le braccia allargate, toccando con le mani la parte superiore dell'”oggetto musicale”. E guardavano davanti a loro, per vedere l’effetto che faceva sui presenti.
Quelle canzoni erano in quel momento la loro colonna sonora. E chi ascoltava doveva portare rispetto a quelle scelte musicali: non si dovevano dare giudizi negativi. La qualità audio dei juke box non era granché, sicuramente mono e non stereo, ma poco importava. L’essenziale era soprattutto attirare l’attenzione di qualche ragazza che ascoltasse quelle note che giungevano da un bar.
I juke box venivano sistemati d’estate fuori dai locali, storico quello del bar “da Briele” (adesso Cafè Noir), sotto un pergolato che ti riparava durante il calore estivo. La scelta dei dischi era buona, e curiosamente molti dischi contenevano il lato A e B non dello stesso cantante.
Forse perché molti di questi dischi erano “confezionati” per manifestazioni canore, come Festivalbar, Sanremo, Un Disco per l’estate… e allora su un lato poteva esserci Adriano Celentano e sull’altro… “44 Gatti”. Ma nessuno ci faceva caso, l’importante era ascoltare musica. Visto che all’epoca la possibilità di ascoltarne tanta era molto difficile. O si comprava il disco oppure si aspettava il venerdì alle 13 per ascoltare su RadioDue della RAI la “Hit Parade” presentata da Lelio Luttazzi.
Oppure si telefonava a RadioSammarco per richiedere o dedicare una canzone. E il “giovane-uomo sammarchese in formazione”, camminando camminando ascoltava la canzone richiesta. Come? Telefonando da una cabina pubblica per poi rincasare, e strada facendo ascoltava quella canzone dalle radio accese nelle abitazioni!!! Strano ma vero.
Mentre rincasava, passava davanti a decine di case che avevano tutte accese la radio sull’emittente locale. Si ascoltava, ad esempio, il brano di Don Backy “Canzone”, e le prime note e i primi versi “Nel più bel sogno ci sei solamente tu…”, li ascoltavi vicino ad un’abitazione diciamo di via Roma, continuando a camminare vicino ad un’altra casa si ascoltava “… sei come un’ombra che non tornerà mai più…”
Fino a rincasare, quando stando finalmente in casa, c’era il finale della canzone di Don Backy “… questa canzone vola per il cielo, le sue note nel mio cuore, stan segnando il mio dolore…”, non avevi perso quasi nessuna nota!! Tutto questo perché tutte le radio di San Marco erano sintonizzate sulle emittenti locali, che iniziavano ad invadere l’etere!!
Poi si accendeva la tv e si vedeva quel poco che la RAI proponeva, però per l’epoca era tanto! Soprattutto quando iniziarono i programmi a colori!! Ricordo che nel 1976 rimasi letteralmente incantato davanti ad una tv a colori esposta nella vetrina del negozio di “Mengaredd” in via Roma. Ed un’altra era esposta nel negozio “Voxson” del maestro Iannacone in corso Matteotti di fronte a “Trujanedda”.
E cosa trasmettevano in quel momento, quale programma? Nulla. C’era semplicemente il monoscopio della RAI non più in bianco e nero, ma tutto colorato! E un rumore di fondo che serviva a chi di dovere, per fargli capire che l’audio funzionava. E tanti ragazzi e non solo, con il viso schiacciato sulla vetrina del negozio per vedere dei colori mai visti prima uscire da un televisore!! E si avvisavano gli altri: “Jjnt la strada lu pont ce sta la television pettata!!”
Se proprio la tv non attraesse il “giovane-adulto in formazione”, lo stesso poteva recarsi sul viale, dove sulle panchine senza spalliera, erano disegnate delle scacchiere, e ragazzi che giocavano a dama. Nel nostro paese la dama ha una tradizione radicata nel tempo. Basti pensare ad Emanuele D’Amore che è stato anni fa campione italiano di dama, e a Michele Turco insignito pochi giorni fa con un riconoscimento dal Coni, proprio per la sua attività di giocatore e giudice di dama.
Sulle panchine del viale alcuni decenni fa, dicevamo, erano disegnate delle dame, che nel tempo… si dovevano immaginare: i contorni scomparivano. Si riuscivano a vedere “mase e ppena”, alcuni quadratini neri dove sopra si appoggiano le pedine. Solo che in questi casi non si appoggiavano le pedine, ma… i tappi delle birre della Peroni (“li rutecedd”). Le pedine bianche venivano sostituite dai tappi della birra… capovolti (all’interno sono bianchi), e le pedine nere dal rosso del logo della Peroni ben stampato sui tappi.
E intorno alcuni spettatori che davano consigli ai due giocatori su come muovere quei “rutecedd”-pedine su una scacchiera che stava diventando nel tempo… un’opinione!! Quasi cancellata dai tanti “strusci” fatti dai damisti. Finita la partita, i tappi venivano nascosti nelle aiuole del viale, per poi riprenderli per altre partite.
E il “ragazzo che sta crescendo” continua il suo vagare per le strade di San Marco. Magari è il giorno di Ferragosto, di pomeriggio, e vede tanta gente andare al campo sportivo, non si chiede il perchè: lo sa benissimo, c’è la finalissima del Torneo Cittadino di calcio!! Non può mancare, magari tra pochi anni anche lui potrà giocare nella categoria Allievi della Polisportiva, dopo aver disputato almeno un torneo locale, giusto per farsi conoscere.
Il campo sportivo è strapieno!! Anche la… tribuna Monte di Mezzo (settore popolare, di quelli che non possono pagare il biglietto) è stata invasa dai tifosi.
Nelle “bagnarole” azzurre posizionate sugli spalti, ci sono birre (è inutile dire di quale marca) in vendita, affogate in un misto tra acqua e ghiaccio, protette dal sole… con un ombrellone.
A centrocampo da una A112 vengono lette le formazioni delle due squadre che stanno per scendere in campo. E da qualche minuto un camion della nettezza urbana che funge da idrante, sta bagnando il “terreno” di gioco. Più che terreno, era uno spiazzo dove poter giocare…
Le squadre entrano in campo e inizia la finalissima!!!! Poi finisce. E chi vince va in giro per tutto il paese con la coppa!!! Tenuta in mano da un tifoso che si sporge dal finestrino per farla ammirare da tutti!! E tante altre macchine che seguono quella con il tifoso con la coppa tra le mani!! Con il clacson dell’auto che è impazzito!! Non si riesce più a sbloccarlo!!
Anche quelli che vincono la Coppa Disciplina festeggiano, ma in un modo più… disciplinato, senza tanto chiasso. Una volta la squadra degli scout vinse questa coppa e andammo alla baracca sul viale, e dentro la coppa venne messa una gassosa che a turno bevemmo!!
Le coppe del Torneo Cittadino di calcio venivano comprate a Padova ed esposte al bar Ginetto. Non pensiate che fossero delle… coppette, ma erano grandi almeno quanto un portaombrelli. Quella per il primo posto era come la Coppa dei Campioni.
E dopo la partita il “giovane sammarchese in fase di sviluppo”, poteva andare sul viale per “trovarsi la zita”, o se già ce l’aveva poteva andare in giro in villa o “sotta li cerretedd”, dipendeva dagli anni… di servizio. E infine rincasava.
Domani doveva andare a scuola. Per studiare. Eh sì, tanti anni fa si andava a scuola per studiare. Poi nel pomeriggio dopo i compiti a casa, si usciva. E spesso si andava in chiesa anche di sera, quando tutte le chiese del nostro paese erano aperte e i gruppi che lì si formavano davano vita a tante iniziative…