Una poesia dialettale di Antonio Villani sulla neve di questi giorni e una riflessione sul passato
di Luigi Ciavarella
Vien da pensare che non ci siano più gli inverni di una volta quando la neve scendeva copiosa in prossimità delle feste natalizie e ammantava l’intero paesino, allora abbarbicato principalmente lungo le fenditure dei due corsi principali e le zone alte, nei posti lontani dal centro in cui si avvertiva di più il disagio.
Le nevicate allora rappresentavano per noi fanciulli la manna caduta dal cielo perché ci dava occasione di giocare con la neve e ci allontanava per il momento dagli obblighi scolastici. Una vera goduria. Ma quando cessava finalmente di nevicare, quando ormai l’intero abitato era chiuso in una morsa di neve e gelo ecco era allora che cominciavano le difficoltà. Alla bellezza del paesaggio si sostituiva il disagio che tutti dovevano affrontare: chi doveva recarsi nei campi o sui posti di lavoro e non poteva raggiungerli, chi procurarsi il cibo che scarseggiava, chi la legna e i carboni da ardere. Tutto diventava complicato. Una dannazione per il paese. Muoversi tra quelle strette trincee scavate a ridosso delle case poi era persino pericoloso perché si poteva rischiare di scivolare e rompersi una gamba oppure diventare addirittura il bersaglio di qualcuno che, rimuovendo la neve dal balcone, la buttava giù senza curarsi degli eventuali ignari passanti.
Era in fondo la neve che tutti aspettavano e temevano allo stesso tempo, che faceva capolino in paese, in genere tra dicembre e gennaio rendendo suggestivo il paesaggio. La temevano invece coloro che dovevano muoversi da casa, che erano costretti a tornare alle loro occupazioni lavorative, con tutte le problematiche che ciò comportava.
La nevicata ci stava, era attesa, d’altra parte era anche benvenuta poiché, si diceva, la neve e il gelo uccidono i parassiti, i microbi, restituendo alla terra una nuova linfa pronta per la semina, in primavera. Si, perché poi la primavera arrivava puntuale. E la sentivi nell’aria e la ritrovavi tra i boschi sin dalla metà di febbraio quando timidamente i primi alberi di mandorlo o ciliegio cominciavano a fiorire lasciando presagire finalmente la fine dell’ inverno. Ormai la dura stagione sembrava stare alle spalle. Era piuttosto impensabile in quel momento immaginare un ritorno della neve e del freddo. Salvo casi rari era assai improbabile, e se nel caso perlomeno non nella misura dei mesi precedenti.
Però nei primi giorni di marzo, quando ormai le giornate si erano ulteriormente allungate, se la neve arrivava allora allo stupore generale si aggiungeva anche un ritorno angosciante al passato se volete ancora maggiore rispetto alle prime nevicate, perché la neve vi giungeva inaspettata, all’improvviso, cogliendo tutti impreparati. Quasi a tradimento.
Così come è avvenuto per esempio nei giorni scorsi quando la neve, attesa stavolta, è apparsa dal cielo annunciata dalle previsioni del tempo (ecco uno strumento efficace che prima non c’era) tra la meraviglia e lo sconforto di tutti. Però per fortuna le nevicate di Marzo hanno le ore contate, il grande pregio di durare poco sciogliendosi in fretta proprio come ci dice Antonio Villani in questa poesia dai toni rievocativi: “ Ma la neve marzaiola (dura quanto) la maddamma cu la nora”, ci dice, insomma quanto un battito d’ali.