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Le due anime artistiche di Paolo Pinto

La musica suonata e prodotta dal grande chitarrista scomparso

di Luigi Ciavarella

Le nostre strade si sono incrociate in una torrida giornata d’agosto del 1972 all’interno di una vecchia abitazione del paese (San Marco in Lamis) trasformata per l’occasione in sala prove, situata in periferia.

In quella stanza abbastanza capiente invasa da strumenti musicali, amplificatori e fili che stavano dappertutto nella confusione più totale, io feci la mia conoscenza degli Atomium, la formazione pop/rock in cui militava Paolo Pinto, che in quell’ambiente provava le canzoni che avrebbe suonato nei concerti. C’erano tutti i componenti con i loro rispettivi strumenti pronti a cominciare: Paolo Pinto con la sua chitarra, Mario Mossuto col suo basso, Leonardo Parisi al piano Farfisa, Mario Masullo alla batteria e Leonardo Pignatelli alla voce.

Provavano un po’ di tutto, dalle canzonette dei Pooh, ed altri motivi similari, ai pezzi più impegnativi tipo Jimi Hendrix (“Can’t You See Me“, “Hey Joe“,etc.), i New Trolls de “La prima goccia bagna il viso” e di “Shadows“, le Orme di “Collage” e “Uomo di pezza“, ma anche i Pooh di “Parsifal” insieme alle canzoni di successo del momento. Insomma avevano un repertorio variabile adatto per tutti i gusti e per ogni stagione e circostanza. D’altra parte era quella la mission: intrattenere gli ospiti durante le feste di matrimonio e far divertire i giovani durante le serata dancing, con repertori ad hoc, oltre ai concerti all’aperto e quant’altro fosse loro richiesto.

Gli altri complessi facevano la stessa cosa.

Però Paolo Pinto rispetto agli altri chitarristi del posto aveva una marcia in più, una sensibilità particolarmente dotata che lo portava alla ricerca, alla sperimentazione. Non gli bastava la perfetta esecuzione della cover ma vi aggiungeva sempre qualcosa di suo che, seppure minimo, bastava a distinguerlo dagli altri.

In breve tempo quella ricerca cominciata così timidamente avrà uno sbocco sempre più personale, dirompente, percorrendo sentieri a volte anche difficili che nessun altro in paese aveva mai tentato. Paolo cominciò a suonare Alvin Lee, dei Ten Years After trascinando gli Atomium in un vortice di suoni nuovi in cui la sua chitarra solista primeggiava, i Deep Purple di Ritche Blackmore, l’hard rock di quel momento che lui li aveva studiati in ogni dettaglio prima di provarli, ed altri ancora.

Questo era il Paolo Pinto che io ho conosciuto a partire da quell’agosto infuocato. Ed è cominciata da lì la nostra amicizia, in nome della musica, tra una canzone e qualche improvvisazione, sul posto dove lui qualche mese prima (maggio 1972) aveva mosso i primi passi, dove ci incontravamo tutti, fino a quando le nostre strade si sono divise tra obblighi militari, studi e trasferimenti vari mettendo a dura prova l’esistenza degli Atomium.

Nonostante qualche ritorno però gli Atomium non furono più gli stessi. Quando Paolo andò militare fu Leonardo Pignatelli che portò avanti le sorti del complesso.

Leonardo Pignatelli aveva pure ceduto a Mario Masullo la gran cassa della sua batteria, che erano identiche, che aggiunse alla sua, dando così un’immagine del complesso più autoritaria, perseguendo allo stesso tempo una moda che in quel tempo aveva preso piede non soltanto in Inghilterra (la doppia grancassa possedevano sia Nick Mason dei Pink Floyd che Jon Hiseman dei Colosseum) oltre che da noi in ambito progressivo (Il Rovescio della Medaglia, per esempio).

Quando invece nel 1972 i Garybaldi di Bambi Fossati, che fu un chitarrista genovese di stile hendrixiano, pubblicano l’album “Nuda”, dalla bella e accattivante copertina disegnata da Guido Crepax, ancora oggi una icona del rock italico, l’Opera rock suscitò in lui non poche attenzioni (ma anche nel resto della band) tanto che quando qualche anno più tardi si presentò la necessità di riformare gli Atomium su nuove basi, i Garybaldi di Nuda diventarono uno dei loro punti di riferimento.

Molti anni più tardi Paolo Pinto rifarà nel suo Studio (2005) tutte le parti del pezzo più bello dell’album “Moretto da Brescia”, che rimane la suite (che dura 20 minuti) tra le più belle dell’intero Progressivo italiano, oltre che difficile da reinterpretare. La versione fornita da Paolo è, a mio modesto parere, addirittura di gran lunga migliore dell’originale.

Quel suono rimarrà nel cuore e nella mente di Paolo poiché molti anni più tardi, nel 2015, in un contesto completamente cambiato, si ricorderà di lui per produrre il suo unico album originale realizzato, in solitudine, e intestato al Mosaico (con la voce di Gennaro Sassano e qualche piccolo contributo di Angelo Ceddia alle tastiere) dal titolo “Nelle terre degli dei“. L’album o CD si rivela un mezzo capolavoro, secondo il giudizio di molti, ed ha una unica pecca: non aver visto la luce nel tempo in cui quel tipo di rock progressivo dettava legge in Italia, negli anni settanta, che pure da lì provengono quelle idee poiché vi troviamo tracce musicali di quei suoni, ispirati però non soltanto al Progressivo ma anche ai Pink Floyd di “Wish You Were Here“.   

Paolo Pinto ha avuto anche la sua esperienza pop, leggera, anzi è stata l’altra parte di sé che non ha mai abbandonato consentendogli, in seno ai gruppi che fondò o che contribuì a formare, di realizzare i suoi progetti. Diciamo che dentro di sé artisticamente hanno sempre albergato due anime distinte: un’anima pop e un’altra rock. Una regolare, metodica che guardava alla concretezza mentre l’altra, più sperimentale e senz’altro più rock, gli consentiva un maggiore appagamento emotivo, una libertà creativa sempre cercata.

L’avventura pop ha occupato l’ultima parte della sua vita di musicista. Negli anni ottanta Paolo insieme ad alcuni amici fondano i Fly (Il Volo, nella foto) evidentemente per fare serate musicali e concerti di piazza, com’era d’uso in quei tempi. Contrariamente a quanti vi vedono differenza tra passato e presente in realtà questo passaggio rappresenta invero un naturale proseguo musicale. Ricordano un po’ le sue origini avute con gli Atomium e in fondo i ricorsi storico-temporali ritornano sempre quando si vuol produrre buona musica e divertirsi allo stesso tempo. I Fly hanno realizzato anche un 45 giri (“Via con te/Averti un attimo” – ma Paolo scrisse anche, per Mayo, La donna che cercavo“), il quale, nonostante il cattivo missaggio del suono, esercita comunque un certo fascino all’ascolto  se non altro per la bella melodia che Leonardo Pignatelli, il primo cantante, riesce ad imprimere da par suo.

Ma il loro merito principale fu quello di aver saputo interpretare la musica del loro tempo con professionalità e impegno, creando anche i presupposti di una rinascita del pop locale sino a quel momento piuttosto sonnecchiante.

Anche in questa fase Paolo Pinto, attraverso i Fly, riesce a far emergere la sua doppia natura artistica: quella pop, adatta per ogni gusto, e quella più concretamente rock (i New Trolls di Concerto Grosso, etc.) come dire le due facce della stessa medaglia, che si incontrano sempre sul suo cammino, che lo hanno accompagnato per tutta la durata della sua vita di formidabile musicista.

pubblicato in origine su “L’Attacco” il 2-9-2022

paolo pinto_ moretto da brescia (dei Garybaldi)

 

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