“Divagazioni Poetiche”, poesie di Antonio Villani
Il volume verrà presentato martedì 8 novembre alle ore 18.00 presso l’auditorium della biblioteca comunale. Sarà presente Ciro Iannacone.
di Luigi CIAVARELLA
A breve distanza dal precedente (“J’òje, Jère, e ll’atu Jère”) ecco che Antonio Villani ci gratifica con una nuova raccolta di versi vernacolari dal titolo “Divagazioni Poetiche“, curato anche questa volta da Raffaele Cera, che raccoglie i suoi ultimi versi composti principalmente in questi ultimi due anni.
Si tratta di versi settenari e ottonari“, preferiti dall’Autore, come ci informa Raffaele Cera nella sua breve introduzione, “che fanno parte di un suo vissuto e di una poetica tutta sua“, che evidentemente intercetta sentimenti del passato liberando al contempo ricordi legati alla memoria e alla tradizione con cui fa i conti attraverso una scrittura molto coinvolgente.
Il vissuto e le sue inevitabili ripercussioni sul presente fanno da sfondo quindi ad una poetica che si nutre di parole, spesso in disuso ma che ritornano prepotenti sulla scena, spaziando in diverse direzioni. Le troviamo sia in “Le rareche bbrejante” (Le rereche non mòrene/anze ci ‘allognene pure/) che in “Nuvele traditrice”, dove affiorano le sue radici contadine, a “Còzze e vvijale” (“Da antiche e ntecòrie“, termine proveniente dal passato remoto) alla preghiera devozionale rivolta a San Francesco (“Nu Jurne bbòne”) per ritornare poi sui temi a lui più congeniali (“Pajése care”) in cui fa da sfondo l’emigrazione con i suoi drammi e i suoi sogni (So ccresciute, allevate/cu ddu sònn’americane).
Il lato più popolare e scanzonato delle poesie di Tonino Villani (dove non è difficile cogliere una venatura musicale – fatto peraltro non impossibile vista la duplice natura dell’Autore -), la troviamo in “Fajelina, la furnara… (pò repassa n’ata vòta/pe ddice a chi ammassa/stuccate e rresenate), in “Rezelina” che invece richiama i nefasti fatti di cronaca legati al Covid (Puvurèdde ce li pòrtene/senza capì dòva vanne) e in “Donne e vvine” e “Sijòsicche”(La chiamane sijosicche/pecché logna, menutedde/e sse ttira na tempèsta/te la chèca fin’e ntèrra”), testi che possiamo considerarli autentiche ballate pronte forse per essere musicate (aggiungerei anche “Danza, danza”).
Nella descrizione sentimentale dei quartieri e del personaggi del paese, che peraltro quei luoghi li han calpestati, temi molto cari al poeta, Tonino dedica una affettuosa lirica a sua madre “Na canzòna pe tté”, (che Non ha ma sparagnate/lu bbène e lli carézze), struggente ode forse una delle più belle poesie dell’intera raccolta, a Joseph Tusiani ad un anno dalla morte (“Nu pajesane”) e Paolo Pinto (N’òme de còre), poesia composta per il memorial dedicato al grande chitarrista/compositore sammarchese, scomparso due anni fa. Riguardo i luoghi storici invece c’è spazio anche per i conventi di Stignano e di San Matteo e, infine, per i quartieri del paese, la “Chiazza de sòpe” (Lògna, viva quèsta chiazza/dallu Tròne allu Strascine), che fu un tempo affollato salotto di paese.
In “Capitane” Tonino cambia tono, consapevole del dramma che sta vivendo l’Ucraina (direi in parte anche l’intera Europa), interrogandosi (e ponendo una riflessione a chi legge) sulle ragioni di questo orrore senza fine (“Capitane pecché sparame?), con una denuncia netta e accorata che trova nella tragica attualità motivo d’ispirazione.
Infine un grumo di poesie tra le più belle di questo volumetto che invito a leggere (tipo “Méntre te parle”, bellissima, “Lu sacrifice”, una ode al pane, “La Funtanélla”, etc.) poiché vi si trovano tra le righe di queste composizioni (e dell’intera raccolta) tutta la genuina sensibilità poetica con cui Antonio Villani esprime i suoi sentimenti di appartenenza (e di riconoscenza) verso le radici di una comunità sempre molto attenta alla parola vernacolare.