Perché non intitolare la biblioteca comunale a Francesco Paolo Borazio?

Leonardo Sciascia per descrivere lo stato della cultura siciliana, in una nota pubblicata nel 1964, riproponeva una riflessione di Giovanni Gentile di qualche anno prima: «(…) si svolgeva, tra i suoi protagonisti, come una specie di dialogo tra sordi. E non poteva essere diversamente, in una terra dove l’individualismo e l’amor proprio giungono a vertici parossistici e, qualche volta, micidiali».

Tanto vale anche per quella sammarchese. Eppure, basterebbe poco per dirigere bravi solisti. Non bisogna creare, bisogna solo armonizzare le differenze, nella consapevolezza che la cultura può essere da traino verso un nuovo “rinascimento”, quanto mai necessario ed auspicabile. Concentrare le forze verso obiettivi comuni e non particolari, solo di alcuni.

Ed allora perché non (ri)occuparci della biblioteca comunale, della “nostra” biblioteca. Coglie nel segno la lapide al suo ingrasso: «Fondare biblioteche è come costruire granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi mio malgrado vedo venire». E’ una frase di Marguerite Yourcenar, dove quel “fondare” non può non significare un movimento verso un “altrove”. Qualcosa che si muove, che muta continuamente,  che non può rimanere ferma. Guai se non fosse così!

(Ri)fondare, magari, iniziando proprio dalla sua intitolazione. Un nome che merita questo riconoscimento potrebbe essere quello di Francesco Paolo Borazio, poeta e intellettuale della nostra terra. Di quelli veri, autentici, senza fronzoli, che hanno creduto nella forza delle idee e delle parole.

Di quelli che erano ed hanno fatto finta di non essere, a differenza di quanti non erano (e non sono) e hanno fatto finta (e fanno finta) di essere. Ecco, una proposta che potrebbe ridare uno slancio verso quell’<altrove>, quella primavera dello spirito che a volte tarda ad arrivare.

E perché no! Pensare di acquisire (almeno, provare a farlo) al patrimonio del Comune i suoi libri, gli inediti, i giornali satirici, i manifesti politici da lui disegnati, i manoscritti; insomma, l’intera sua biblioteca e farne un fondo librario a disposizione dell’intera collettività in una sezione dedicata della biblioteca.

E poi, ancora: promuovere una riedizione della sua opera più importante, Lu Trajone, in cui ha raccontato in modo sublime (secondo alcuni irripetibile) l’anima della nostra comunità. Un’edizione che potrebbe arricchirsi – per esempio – proprio dei suoi disegni (tra l’altro, già pubblicati). Oppure, coinvolgere quanti volessero proporre disegni ispirati all’opera.

Ed allora, che questa proposta rappresenti veramente un’occasione disinteressata per lo sviluppo non solo culturale del nostro paese; un evento che possa finalmente riunire assieme più idee.

Non mi rimane che augurare buon lavoro, ricco di idee belle; come quella che hanno avuto diciannove anni fa quelle poche anime che abitavano (ed abitano tutt’ora) un piccolo borgo tra le montagne della Maiella (a pochi chilometri da noi): hanno pensato ad un festival letterario che riunisse nel nome di uno scrittore nato da genitori da lì emigrati in America, autori, letterati e lettori da ogni parte del mondo per capire cosa significhi “fare cultura”.

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