The End
di Mario Ciro CIAVARELLA
Quando da piccoli guardavamo il manifesto di un film che veniva proiettato al cinema, da quell’unica immagine riuscivamo a fantasticare e a fare delle nostre trame su quello che potesse essere il film pubblicizzato. Solo il manifesto ci entusiasmava: il carattere delle lettere del titolo (oltre al titolo) diceva molto di quel film, se fosse un film romantico oppure d’azione. La grafia del titolo diceva anche se il film potesse avere un finale drammatico o meno.
I volti degli attori stampati sui manifesti esprimevano al meglio i personaggi interpretati. Anche se non c’era nemmeno una parola che “usciva” dal manifesto. Normalmente i manifesti cinematografici avevano le facce degli attori principali in primo piano, e sullo sfondo o agli angoli c’erano delle scene o altri personaggi secondari.
In pratica, per quelli che non potevano vedere quel film, solo guardare il manifesto dava un senso di “già visto”. Come dire: mi è bastato vedere una pistola puntata verso un altro protagonista del film, per capire tutta la storia!!! Nostalgicamente era così!!!
Nel nostro paese c’erano due sale cinematografiche: quella “normale” Il cinema Piccirella, e quella “naif” (quella più simpatica e alternativa). Quest’ultima gestita dal signor Pompeo, e si attendeva la sua discesa dal Comune con il tabellone sotto il braccio, dove era appiccicato il manifesto del film della sera, per sapere cosa si potesse assistere il giorno stesso e spesso anche quello dopo.
Il manifesto veniva posizionato lungo il corso principale, e appena sistemato, tutti andavamo a vedere il film in programmazione. E quasi sempre erano dei film di arti marziali giapponesi o western. (A volte anche porno). Un gruppetto di bambini, e di “bambini un po’ più cresciuti”, guardavano con la testa verso l’alto quel manifesto. Come se si guardasse una sposa che stesse per uscire dalla chiesa: con immensa meraviglia.
Quei titoli, oggi, sarebbero improponibili, soprattutto quelli di karate: “Cinque dita di violenza”, “Arrivò Chen e intorno a lui, fu morte”, “Con le mani ti spezzo e con i piedi ti rompo”, film che cercavano di copiare quelli di Bruce Lee. E tutti che commentavamo il titolo del film e le foto relative. Dicendo che se valesse la pena o meno di andarlo a vedere. Pochi potevano andarci, molti quelli che aspettavano gli amichetti all’uscita del cinema per farselo raccontare e farsi spiegare qualche nuova “mossa” per sconfiggere “l’amico-karateka-nemico”.
Le locandine cinematografiche hanno fatto epoca. Ma ora anche questo sogno forse è già finito. A Milano tre anni fa stava per chiudere “Il Museo del Manifesto Cinematografico”. Un patrimonio di 150mila pezzi tra manifesti, fotografie, memorabilia, riviste, diventati icone di un’epoca. Cimeli e bozzetti rari, alcuni originali come quello della “Medea” di Pasolini, i manifesti di Sandro Simeoni e le opere del cartellonista Anselmo Ballester, saranno stati inscatolati e rinchiusi in un magazzino. Sperando che abbiano trovato una nuova sede. In quella che avrebbe già chiuso avrebbe preso vita un negozio di telefonini.
Questo museo del cinema che sta per morire, era anche una sala dove si organizzavano eventi, incontri, mostre, laboratori di recitazione. Quindi uno spazio aperto, un punto di riferimento per esperti di cinema e semplici curiosi. Ci stanno negando anche l’immaginazione. Naturalmente, “quelli che contano” a Milano hanno dato il massimo supporto “psicologico” per risolvere il problema. Ma mentre scrivo non trovo notizie confortanti sull’esito finale sulla risoluzione del problema.
È come se si facessero scomparire da un momento all’altro migliaia di copertine di LP (dischi a 33 giri, lo diciamo per i più giovani). Sarebbe un colpo mortale per quelli che, con le copertine dei dischi (ma anche ascoltandolo il disco), hanno passato buona parte della loro gioventù.
Quando i dischi avevano le copertine, spesso ideate da veri artisti, gli acquirenti ci passavano delle giornate intere a studiare quelle foto o disegni stampati sopra. Mentre il disco suonava. Disco e copertina era un tutt’uno. Ora non lo è più. Allo stesso modo, non può esistere un film senza la sua locandina: è come avere un vestito a metà, mancherebbe la parete superiore o inferiore.
I manifesti cinematografici fanno parte della storia del cinema. Spesso vengono premiati come si premiano i film e gli attori. Le locandine hanno un’anima. E hanno fatto crescere intere generazioni di spettatori solo vedendole appese ai muri. In attesa della visione del film. Per vedere se la locandina avesse tradito o meno le aspettative. E non le tradiva quasi mai.
Il manifesto cinematografico è una specie di anteprima del film: ci emoziona, ci invita a vederlo. E se poi non era possibile farlo (spesso era così), ritornavamo a rivedere il manifesto appeso dal signor Pompeo, il quale ci rincuorava dicendoci che il giorno dopo, quel film… “Se repet”
(In fondo… domani è un altro giorno…)