“Papà Girolamo”, antico gioco e modo di dire in voga sul Gargano

di Antonio DEL VECCHIO

Papà Geróleme” (papà Girolamo) costituiva un tempo in paese un appetito e diffuso gioco per ragazzi ed adolescenti. E questo prima dell’avvento della TV che ne assorbirà in seguito gran parte del passatempo. Lo si giocava in ogni piazzetta del centro storico, capace di ospitare a sufficienza gioco e giocatori. Di solito il conduttore del gioco era un tipo molto scaltro e severo.

Da qui l’uso nel linguaggio comune dell’appellativo “somiglia a Papà Geroleme” affibbiato a questo o a quell’individuo dotato degli anzidetti attributi o vocazione al comando. Ecco come si giocava. Per prima cosa si disegnava con gesso o sabbia per terra un cerchio, che simboleggiava una casa – rifugio, di misura varia, a seconda del numero dei giocatori impegnati. Aveva una breve apertura detta anche porta. Dopo aver fatto la conta si sceglieva il primo “Papà Girolamo”, che diventava immediatamente padrone del rifugio. Quest’ultimo per esercitare il comando si avvaleva di un fazzolettone, di quelli rossi a fantasia, usati solitamente da braccianti e contadini per asciugarsi il sudore.

Lo stesso aveva ad una o ad entrambe le estremità un possente nodo. Da qui la denominazione di “taccaridde” o “taccarello”, con cui partire alla conquista dei partecipanti. Papà Girolamo lasciava il predetto cerchio, saltellando su un piede solo, dopo aver esclamato con tono autorevole e sostenuto: “Ora esce papà Girolamo e nella casa ci lascia lo sputo”, a simboleggiare il possesso vitale di essa. Così cercava di colpire col nodo del fazzolettone uno dei partecipanti, affinché diventi suo “figlio”.

Schiamazzando e muovendosi a zig zag, i giocatori, intanto, cercavano a loro volta di non farsi colpire e nello stesso tempo sfottevano il conduttore con parole di derisione, girandogli intorno o allontanandosi con agilità da lui al momento di essere mal menati. Chi per caso veniva colpito diventava all’istante un “figlio” e fuggiva rapidamente con Papà Girolamo verso casa, come se fosse per davvero un cagnolino. Durante la rincorsa, i due erano percossi a più riprese dagli altri giocatori, forniti anch’essi di “taccaridde”.

Lo si faceva, accompagnandoli sin dentro il cerchio di protezione. Dopo di che smettevano o meglio erano costretti ad interrompere per regolamento l’inseguimento. Papà Girolamo vi restava, però, per poco tempo, quindi ricominciava daccapo la sua imperiosa conduzione, lasciando questa volta a guardia della’casa’, il primo figlio acquisito al posto dello sputo o talvolta abbandonava l’alloggio in compagnia di esso. Lo faceva, con la medesima esclamazione: “Ora esce papà Girolamo e nella casa ci lascia il primo figlio”, o, se fatto insieme: “Ora esce papà Girolamo con il primo figlio e nella casa ci lasciano gli sputi”.

Raramente accade, che Papà Girolamo, dia il compito al figlio o ai figli di svolgere le sue veci di comando. In questo caso il modo di dire veniva aggiornato alla nuova funzione. Ciò accadeva solo quando Papà Girolamo era stanco o stufo di interpretare il ruolo di capo. In altri casi ancora, quando i figli erano ormai numerosi. Il Capo usciva con tutta la famiglia, pronunciando la solita frase all’uopo. Quando, rimaneva un solo giocatore in campo senza essere colpito, quest’ultimo diventava il nuovo Papà Gerolamo.

E il gioco continuava. Questo gioco è simile anche a quello, detto “Il taccarello” praticato nella vicina e più popolosa città. Qui la variante era costituita, come accennato, dal ‘dire’: “Ciciucce paricchie paricchie di quiste”. Una sorta di morra. Il colpito era costretto ad indovinare il numero pensato e detto di seguito dal conduttore. Altrimenti giù botte da orbi! Tale diletto si sperimentava solitamente di inverno, allorché esso serviva a riscaldare le mani dei giocatori, in assenza o di poco ‘fuoco’ in casa. Per saperne di più, leggi pag. 60 del volume: “Coppe della Rosella” di Giovanni Cammerino, Foggia, Studio stampa, 1994, curato e annotato da chi scrive.

N.B. Tratto dal racconto “La seduta spiritica”, ispirata al compianto “Prof” ed amico G. Stilla.

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