La voce romantica e gentile di Leonardo Pignatelli
E’ stata la voce degli Atomium e dei Fly, da sempre vicino a Paolo Pinto. Protagonista assoluto della scena musicale sammarchese nei 70 e 80
di Luigi Ciavarella
Proveniente da una famiglia artistica da parte di madre, che suonava il mandolino, e di uno zio virtuoso del banjo, – insieme formarono un duo che faceva anche serate -, Leonardo Pignatelli, classe 1953, lo possiamo senz’altro includere tra le voci più belle e romantiche della storia della canzone in paese. Però prima di farsi apprezzare come cantante, Leonardo comincia, poco più che adolescente, con le percussioni. La passione per la batteria nasce spontanea e, non potendo averne una a sua disposizione, se la costruisce da sé approfittando dei piatti avuti da Chechele (noto componente della banda cittadina) e in più aggiungendovi un paio di tamburelli di pelle di vacchetta (quelli con i quali in genere si gioca in coppia sulla spiaggia). Insomma un rudimentale ibrido percussivo che gli servì però per fare esperienza.
Il suo obiettivo fu quello di suonare la batteria di Matteo Napolitano, in quel momento all’apice del successo in città con i Protheus, quella minuscola batteria che sembrava sortita da un negozio di giocattoli ma che aveva il pregio di essere dotata di ogni accessorio. Quando nel 1970 Matteo Napolitano lascia il gruppo Leonardo coglie l’attimo e lo sostituisce seppure per pochi mesi, il tempo necessario che gli serve per completare la sua formazione.
La prima band costituitasi intorno ad un progetto è stata quella dei Rubacuori, che fu una esperienza effimera ma interessante avuta con Mikalett (voce), Matteo Ciavarella e Vincenzo Aucello (chitarre) che dura poco ma gli consente anche in questo caso di acquisire nuova esperienza. Quando anche questa fase si conclude ecco che insieme a Paolo Pinto entrano contemporaneamente nei Butterflies, già attivi da qualche anno, con i quale uniscono gli sforzi. Leonardo in quel momento decide di abbandonare la batteria per dedicarsi soltanto al canto. D’altra parte ha affinato una bella voce, romantica e personale, osservando cantare Beppe Monte, la voce dei Protheus, e si sente pronto al cambio di ruolo. Lascia tamburi e bacchette a Mario Masullo e diventa la voce solista degli Atomium, la nuova formazione pop che nasce nel 1972 e che diventerà in breve uno dei punti di riferimento della zona.
La formazione era dotata di ottimi strumentisti (in primis Paolo Pinto alla chitarra poi Leonardo Parisi alla tastiera Farfisa, Mario Mossuto al basso e già citato Mario Masullo alla batteria_ vedere foto) ma se hanno ottenuto il tanto declamato successo lo si deve principalmente alla voce sognante di Leonardo Pignatelli, che fu vero frontman del gruppo.
Quando anche gli Atomium cominciano a smembrarsi a causa degli obblighi di leva e da altri impegni personali, Leonardo, in assenza di Paolo partito militare, prende lui le redini del comando suonando la chitarra, sostituendolo degnamente (lo si può vedere in qualche foto). Quando invece tocca a lui al suo ritorno la scena musicale del paese cambia, Paolo ha formato un nuovo gruppo (Il Mosaico) e Leonardo Pignatelli abbandona il campo.
Si ritroveranno. Paolo e Leonardo, nei primi anni ottanta quando il chitarrista lo vuole in seno ai Fly, la sua nuova creatura musicale che Paolo Pinto ha appena formato, e dove Leonardo ha di nuovo modo di mettersi in gioco con un nuovo repertorio di canzoni perchè anche se i tempi sono cambiati la melodia resta uguale anzi, rispetto agli Atomium, che qualche volta suonavano anche rock (con la voce di Paolo però), qui non c’è pericolo che ciò avvenga perché il gruppo ha un progetto preciso in testa interamente elaborato sulle canzoni pop. Da questa unione verrà realizzato anche un 45 giri (Via con te/Averti un attimo_ 1984).
Così Leonardo Pignatelli lascia anche i Fly e da quel momento in poi cessa ogni attività artistica. La sua voce, che sembra di sentirla ancora elevarsi in acuti altissimi o, a secondo i momenti, mutarsi in leggiadra e gentile, sussurrando con sentimento dolci frasi d’amore, plasmata sin dagli inizi sullo stile di Beppe Monte, ha fatto il suo tempo, come d’altronde aveva fatto Matteo Napolitano, il suo mentore, quando anch’egli disse basta, agli inizi dei settanta, lasciando a lui il testimone. Quando tutto era possibile, persino sognare.