SUD FOLK: “Terra al vento”, il suono del Gargano
“Vive sope a na muntagne, sime princepe e cafune, n’esistane distanze quanne sta musiche che accomune”
di Luigi Ciavarella
Concepito durante la pandemia, il quarto lavoro dei Sud Folk (dal titolo “Terra al vento”) apre prospettive interessanti nel campo dello sviluppo della nuova musica popolare garganica. Innanzitutto un linguaggio musicale decisamente nuovo che, seppure ben radicato nella tradizione del territorio a cui appartiene, (la cittadina di Monte Sant’Angelo, da sempre considerata un po’ la capitale della musica popolar/tradizionale garganica) prova a contaminare le proprie radici aprendo spazi a quei suoni provenienti da altri generi musicali. Un’attenzione sincera al crossover tale da rendere di sicuro questo lavoro più fluido e affascinante.
In una intervista ad una canale web Bernardo Bisceglia, il leader e il fondatore della band, d’altra parte ne spiega la ragione e l’obiettivo: portare la musica popolare tra i giovani, che come si sa sono poco recettivi a questo tipo di sollecitazioni. In realtà la contaminazione e i nuovi linguaggi sono da tempo presenti sulla scena della musica pop/tradizionale (si pensi ai Terranima di Manfredonia soltanto per rimanere nel territorio e, seppure di minore impatto, anche in seno al gruppo Festa Farina e Folk di San Marco in Lamis) anche se non così avanzata come in questo caso (che ha relazioni stretti con il rock, il rap e lo ska per esempio), perlomeno non in maniera così netta. Un risultato straordinario che lo si può verificare ascoltando gli undici brani inediti che compongono questo CD, tutti saturi di sonorità seducenti, attraversatati da una felice scrittura vernacolare (tranne che in un brano, “Tramonti all’orizzonte”) che affonda le proprie radici in quei luoghi comuni tipici del racconto tradizionale garganico (che parlano di condizioni sociali, di meridione, della ferita dell’emigrazione, etc. ma anche di bellezza e di sapori della nostra bella terra) conservando una propria originalità (e identità) di fondo che fanno di “Terra al vento” un album per certi versi imperdibile.
Della formazione fanno parte, oltre al già citato Bernardo Bisceglia, compositore, voce, chitarra, mandolino e zampogna, Luigi Pagliara (anch’egli chitarrista e compositore, noto peraltro dalle nostre parti per la sua collaborazione al CD di Leonardo Ianzano, “Taranterra mia”), musicista formidabile (suoi i virtuosismi all’elettrica e alla slide), Raffaella Carbonelli e Angela Bisceglia, voci e cori; il basso elettrico diviso tra Peppe Rignanese e Marco Tricarico (che suona anche la chitarra acustica) e le percussioni (tamorra, tamburelli, etc. ) di Michele Bisceglia completano un ensemble che, avvalendosi anche di alcune collaborazioni (per esempio la ciaramella e la fisarmonica di Matteo Quitadamo e i testi quasi tutti scritti da Maurizio Ciociola), rendono questo lavoro davvero superlativo.
Dall’intro alle travolgenti tarantelle di “Parèva de seta” e “Appicce lu fuche”, “Lu paese de li sunature”(forse la canzone più bella, sicuramente quella che suscita maggiore emozione), passando per “La magia de lu Garghene”, con una voce femminile di rara sensibilità melodica, presente anche nell’unico brano in italiano (“Tramonti all’orizzonte”, che evoca invece il tema del viaggio, arricchita dalla voce rap di Giuseppe Di Iasio sul finale, anche questa bellissima), mentre la conclusiva “Ne nge voje sci a Monte 2.0”, cantata anche questa dal rapper, (“Monte è la terre ca ése lasséte, veretà e puchette, atturn u mer/e nerse e l’arise l’anne arruvenéte”… “Po dicene fore paiese che Monte è nu paravise”) vuole denunciare l’amara realtà (l’altra faccia della medaglia) che si respira in questa terra di confine in cui, fuori dagli stereotipi legati al culto dell’Arcangelo Michele e alla storica bellezza del luogo, la criminalità e il malessere sociale la fanno da padrona. Ma si parla nel testo anche di resistenza, speranza e di riscatto, termini che uniscono una comunità viva, creativa, fiera, stretta in difesa della propria libertà (“Non basta l’elogio, c’è bisogno di lottare”). Una comunità che guarda al futuro, sottolineato con forza nel brano in cui Luigi Pagliara, forgia con un assolo di chitarra elettrica memorabile, tutta l’energia che serve per mandare verso altezze vertiginose uno dei lavori musicali più importanti usciti da queste parti.